La replica degli Uffizi alla polemica sulla perdita di gestione degli Nft delle opere d’arte

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La polemica sulla gestione degli Nft Uffizi e di altri musei ha trovato ampio spazio ma proprio gli Uffizi sono intervenuti per chiarire la questione

La polemica sugli Nft Uffizi e altri musei è nata a partire da un servizio delle Iene dal quale è nato un pezzo su Repubblica. Secondo questi prodotti giornalistici ci sarebbe la possibilità che il Mic perda «la gestione, il controllo e lo sfruttamento» delle riproduzioni digitali di alcune delle opere più importanti del nostro paese. Si parla anche del direttore generale dei Musei del ministero che, negli scorsi mesi, avrebbe firmato una circolare per bloccare i contratti con la società che gestisce gli Nft, la Cinello di Milano. Ad essere coinvolti sarebbero undici musei (compresi gli Uffizi) con quaranta opere messe a rischio. Le cose, però, non stanno così come hanno spiegato gli Uffizi stessi.



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Polemica Nft Uffizi, «travisata la questione, non compresi i concetti tecnologici e giuridici»

Il museo ha quindi replicato alla questione sollevata da Repubblica e dalle Iene, spiegando che si tratta di un fraintendimento: «I diritti non vengono in alcuna maniera alienati – riporta Corrierecomunicazioni, che ha ricostruito l’intera vicenda – il contraente non ha alcuna facoltà di impiegare le immagini concesse per mostre o altri utilizzi non autorizzati, e il patrimonio rimane fermamente nelle mani della Repubblica Italiana».



«Il legislatore – è stato spiegato – ha dato delle risposte puntuali e precise già molto prima dell’invenzione (nel 2014) della specifica tecnologia di certificazione in questione, ovvero nella legge Ronchey del 1994, e ancora nel codice Urbani del 2004, oggi in vigore». Nel contratto con Cinello, inoltre, «è richiamata in modo esplicito la non esclusività della concessione, nell’assoluta conformità con la normativa applicabile». Concludendo, il «contraente privato non pratica alcuna ‘intermediazione’ per conto dello Stato, ma agisce nel nome e per conto proprio, senza alcun interesse o investimento del museo. La percentuale a favore del museo non è affatto bassa ma al contrario, con il 50% dei ricavi netti è congruamente alta, dato che le quote per l’utilizzo delle immagini solitamente si aggirano tra il 10% e il 25%, a seconda del prodotto e del mercato specifico per cui viene autorizzato l’uso. Nei fatti, un’alienazione non c’è stata, e non poteva esserci, perché la legge non lo prevede. E un immaginario accordo che dicesse il contrario semplicemente sarebbe nullo».

Intanto M5S e Lega stanno chiedendo regole più stringenti per il settore, chiedendo una maggiore trasparenza in merito al mercato dell’arte digitale.