Pinkwashing, Netanyahu ci riprova: il ministro della giustizia è gay

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Benjamin Nethanyahu ha nominato ministro della giustiza Amir Ohana, avvocato dichiaratamente omosessuale con compagno e figli. Mentre per alcuni commentatori si tratta di Pinkwashing, una strategia tesa evidenziare i diritti degli omosessuali in Israele per nascondere le violazioni di quelli dei palestinesi, per altri è semplicemente una tattica utile a Netanyahu per evitare di rispondere in tribunale alle accuse di frode, furto e violazione di fiducia

Netanyahu non sembra voler mollare l’osso. Dopo il fallimento del governo nazionale e l’impossibilità di creare una maggioranza all’interno della Knesset per via delle controversie irrisolte fra l’estrema destra laica e quella religiosa, Bibi prova la carta dei diritti LGBT+ per aumentare il suo consenso all’interno e all’esterno di Israele e, soprattutto, evitare i processi che lo attendono.



Benjamin Netanyahu ha nominato ministro della giustizia un politico e avvocato apertamente omosessuale

Amir Ohana, ministro della giustizia di questo governo di transizione fino alle prossime elezioni di settembre, sarà infatti il primo ministro dichiaratamente omosessuale dello Stato ebraico. Una scelta che sembra confermare quella che le associazioni di difesa dei diritti dei palestinesi e delle minoranze di genere hanno da tempo definito come Pinkwashing: la volontà, ovvero, di enfatizzare i diritti goduti dagli omosessuali per rendere meno evidenti, fino a nasconderle, le violazioni di quelli dei palestinesi e degli arabi in territorio israeliano. Mostrare i carri del gay pride di Tel Aviv sarebbe un escamotage comunicativo per nascondere le violenze dei coloni e dell’esercito nei territori conquistati in Cisgiordania dopo la guerra del 1967. Le dichiarazioni rilasciate due anni fa al quotidiano israeliano Haaretz non sembrerebbero smentire questa strategia comunicativa attuata dalla destra israeliana laica. L’avvocato del Likud diventato ministro, infatti, sosteneva in una intervista che «i musulmani sono culturalmente assassini, chi è responsabile di assassini e massacri negli ultimi cinquanta anni nel mondo? I musulmani. Non nella totalità dei casi, ma sicuramente in una percentuale superiore al 90%.»

Dietro la nomina motivazioni di ordine politico o la necessità di continuare con il pinkwashing dello stato ebraico?

Per molti commentatori politici, però, questa nomina, per quanto risulti piuttosto ‘sospetta’ nel mese dei Pride, non sarebbe stata dettata da ragioni di prestigio internazionale quanto dalle accuse che la magistratura israeliana ha rivolto al primo ministro. Amir Ohana infatti è un fedelissimo membro del partito di Netanyahu, il Likud, e ha sempre appoggiato l’inossidabile primo ministro, al governo ormai da 13 anni. La scelta del leader del Likud, per quanto facilmente spendibile all’esterno, sarebbe quindi da legare ai rischi politici (e penali) che le cause pendenti nei suoi confronti rischiano di provocare nella sua carriera politica. Avere un potente alleato all’interno del dicastero della giustizia sarebbe un’arma decisamente importante per Netanyahu ai fini di uscire senza macchia dai possibili processi ai quali dovrebbe presenziare. Ohana potrebbe garantire infatti a Benjamin Netanyahu l’immunità per i tre reati di frode, furto e violazione di fiducia di cui è accusato.



Secondo molti commentatori israeliani Netanyahu vorrebbe da Ohana l’immunità dai tre processi che lo attendono

Le voci critiche all’interno di Israele nei confronti di questa nomina politica sono forti e sembrano confermare come la sua elezione a ministro non sia stata scelta per rafforzare i diritti delle minoranze sessuali in Israele (unico paese mediorientale con diritti riconosciuti agli omosessuali per legge) quanto piuttosto per i motivi di ordine giuridico e politico interni allo Stato e al partito. La forte comunità LGBT+ israeliana non avrebbe goduto in passato di nessun sforzo politico e rappresentativo da parte del neo ministro della giustizia. Accuse rimandate al mittente da Ohana che si è sempre nascosto dietro le necessaria pratica di mediazione politica in una coalizione dove partiti laici e religiosi cercavano di trovare una sintesi governativa. Esporsi per i diritti degli omosessuali sarebbe stato poco lungimirante in un’ottica di carriera politica. Una scelta che, oggi, sembra aver dato i suoi primi frutti.

Ora per Ohana sarà difficile, però, evitare di prendere posizione a favore della comunità LGBT+: sono in molti all’interno dello Stato che si aspettano leggi che li tutelino, dal riconoscimento legale per i genitori non biologici alla possibilità che single o omosessuali adottino figli fuori dai confini dello Stato. Ohana è diventato così il primo ministro apertamente omosessuale della storia di Israele, qualsiasi cosa accadrà in questo governo estivo destinato a cadere a Settembre, la sua figura sarà ricordata. La fedeltà a Bibi lo ha decisamente ripagato.



 

(Foto di copertina IgorZed, Flickr)