Patrick Zaki resta in carcere e in «una cella con 35 persone e una latrina»

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Rifiutata la richiesta di scarcerazione per lo studente in Egitto

L’udienza per la scarcerazione di Patrick Zaki non è andata a buon fine. Il giudice ha, infatti, respinto la richiesta di scarcerazione presentata dai legali e dalla famiglia del giovane studente che dovrà proseguire la sua detenzione – in attesa di processo, con accuse che sembrano essere fumose e prive di fondamento – in cella. E nelle poche parole che il ragazzo egiziano è riuscito a scambiare con i giornalisti prima di entrare in Aula e ascoltare la decisione dei magistrati, si parla di condizioni di detenzione surreali.



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Come riporta il Corriere della Sera, infatti, Patrick Zaki ha detto: «Mi tengono in un posto terribile. Siamo in 35 in una cella con una sola latrina e una finestra piccolissima». Poi l’udienza, durata dieci minuti, con la decisione del giudice di confermare lo stato di arresto nei confronti dell ragazzo egiziano iscritto all’Università di Bologna. Il 27enne era arrivato nel tribunale di Mansura speranzoso che i magistrati lo ascoltassero e decidessero per la sua libertà, ma non è andata così.



Patrick Zaki e la cella condivisa con 35 persone (e una latrina)

E a quegli stessi giudici, durante l’udienza durata circa 10 minuti, ha raccontato la sua versione dei fatti e il trattamento che ha subito dopo il suo arresto: «Mi hanno tenuto bendato per 12 ore. Picchiato in viso. Mi hanno torturato con l’elettricità. Mi hanno fatto spogliare e chiesto della mia ong e di alcuni post su Facebook: ma io non ho fatto nulla». Un racconto che sembra non esser molto distante dalla ricostruzione fatta sul sequestro e poi omicidio di Giulio Regeni, sempre in Egitto.

Le parole della sorella

E anche la famiglia non riesce a darsi pace, soprattutto dopo la sentenza avversa sulla scarcerazione di Patrick Zaki. La sorella del 27enne ha detto che non le è stato dato il tempo di scambiarci neanche una parola e che anche al suo avvocato hanno concesso solamente due minuti di confronto. E ora la paura è che il grande supporto che arriva dell’esterno, non possa essere sufficiente per il giovane.



(foto di copertina: da Facebook)