Sdoganare l’odio su Facebook è un punto di non ritorno

Nell'ambito della guerra che è anche dell'informazione, Meta è arrivato a consentire l'odio online nei confronti dell'esercito russo

11/03/2022 di Gianmichele Laino

La sensazione è che, da qui, non si possa tornare più indietro. E – si badi – non è una considerazione che vale soltanto per questo particolare momento storico, ma che varrà a maggior ragione in tempi di pace. La decisione di Meta di consentire temporaneamente (per una fetta decisamente numerosa di Paesi, non soltanto per l’Ucraina) espressioni di odio, hate-speech, nei confronti dell’esercito russo, di Vladimir Putin, di Alexander Lukashenko e – in generale – del popolo russo quando questo dovesse venire qualificato come “invasore” ci offre la misura, l’ennesima, di quanto i social media e i giganti del tech in generale possano influenzare e direzionare il sentiment generale e l’esito dei dibattiti dell’opinione pubblica nei Paesi occidentali. Cerchiamo di astrarci per un momento dalla notizia in sé e, soprattutto, dal sentire comune e proviamo a immaginare tutto da un altro punto di vista.

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Odio online contro Russia, la mossa di Facebook che fa paura

Pensiamo a Meta come a una azienda privata che, giustamente, tutela i suoi interessi. Immaginiamo che, un giorno, la stessa azienda dovesse avere motivi di ostilità nei confronti di tutte quelle testate giornalistiche, di tutti quei media, che mettono in evidenza – così come è stato fatto in passato dal gruppo di inchiesta che ha indagato sulle rivelazioni della ex dipendente di Facebook Frances Haugen – eventuali distorsioni nei meccanismi di funzionamento delle sue piattaforme di social networking. Immaginiamo che, su questo tema, alcuni stati o alcune istituzioni sovranazionali iniziassero a prendere provvedimenti e, per questo motivo, fossero visti come ostacoli nel raggiungimento degli interessi dell’azienda stessa.

Sulla base dei propri principi interni – lo abbiamo visto dal caso, da cui siamo partiti, della giustificazione dell’odio online nei confronti dell’esercito russo, dei russi che giustificano l’invasione e delle autorità russe e bielorusse -, potrebbero immediatamente derogare alle proprie regole e alle proprie policies per bloccare, attaccare, penalizzare le testate e gli stati che, in via del tutto ipotetica, dovessero mostrare una critica ostile all’azienda di social network.

La leva di Facebook

Quale sarebbe, allora, la reazione dell’opinione pubblica? Aggiungiamo un altro elemento alla riflessione: qui non stiamo parlando del caso specifico (o di chi abbia ragione nel conflitto russo-ucraino, se mai una ragione esiste in un contesto bellico), ma stiamo parlando del metodo utilizzato nel caso specifico. Che, in quanto metodo, potrebbe essere utilizzato anche in altri e diversi contesti specifici.

Diremo di più. Attualmente questa operazione – ovvero la deroga all’hate-speech nei confronti dell’esercito russo, del popolo russo che giustifica l’invasione e delle istituzioni russe e bielorusse – è stata esplicitata attraverso un commento pubblico del portavoce di Meta a Reuters (agenzia che ha scoperto questa attività in seguito alla consultazione di documenti interni all’azienda). La verità, insomma, è emersa in seguito al cane da guardia dell’informazione – in questo caso rappresentato da Reuters – che ha fatto il proprio lavoro. Ma siamo davvero sicuri che queste stesse deroghe, legate a un semplice cambiamento di modalità operative, ad esempio, del settore della moderazione, non siano già attuate all’insaputa dell’opinione pubblica per altri scopi che nulla hanno a che fare con la guerra?

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