La storia del negazionista che si è reso conto del virus solo dopo il suo ricovero

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L'uomo, 54 anni di Fano, non credeva nell'esistenza dell'emergenza fino a quando non è stato colpito dal Covid

Non credeva nell’esistenza di un virus così forte da impedire la normale quotidianità. Non indossava la mascherina ed etichettava i medici impiegati negli Ospedali come attori di una messinscena fatta di reparti saturi e corsie stracolme di persone in fin di vita a causa del Covid. Poi è rimasto contagiato anche lui e la polmonite bilaterale da Covid lo ha costretto a un repentino ricovero. Solo lì l’illuminazione: il virus c’è, l’emergenza anche. Questa la storia del negazionista ricoverato a Fano che si è messo in contatto con Il Resto del Carlino per raccontare la sua vicenda e il suo mea culpa.



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Sbagliava, lo ammette pubblicamente in una lungo messaggio inviato alla redazione de Il Resto del Carlino: «Volevo dire che sul Covid-19 non avevo capito niente o non volevo capire niente. Rifiutavo inconsciamente l’idea che la pandemia fosse grave, minimizzavo culturalmente l’ emergenza sanitaria». Poi i sintomi, le difficoltà respiratorie, la febbre e quel bisogno di ossigeno per respirare. Tutto quel che lui, 54enne padre di famiglia con un lavoro di tecnico informatico, aveva sempre negato e contestato lo ha prima visto con i propri occhi attraversando la corsia dell’ospedale di Pesaro e ora lo sta vivendo sulla propria pelle.



Negazionista ricoverato a Fano ammette di aver sbagliato tutto

«Forse è anche brutto dirlo e nemmeno giusto ma per rendersi conto davvero su ciò che stiamo vivendo, bisogna passarci – prosegue l’uomo -. Ho visto che non c’era nulla di inventato in quelle immagini televisive degli ospedali stracolmi, delle terapie intensive al collasso, degli ospedali da campo, della gente che muore». I medici impegnati, le persone che perdono la propria vita per questo virus. Ora che lo sta vivendo sulla propria pelle anche i suoi dogmi negazionisti sono caduti.

La lettera per aprire gli occhi

«Io non mettevo la mascherina fuori dal lavoro, la ritenevo inutile, una recita anche se non avevo comportamenti contrari alla legge. All’esterno semplicemente non la mettevo per scelta. Ma solo ora, qui, ho capito che sbagliavo». La sua lettera pubblica non è solo un mea culpa. Serve per far aprire gli occhi a chi, fino a questo momento, ha negato la gravità della situazione (magari leggendo boutade dai social) e la virulenza di questo Sars-CoV-2 che non colpisce tutti allo stesso modo, ma il rischio è quello di una roulette russa.