Salvini ci ripensa e chiede di non essere processato
29/01/2019 di Enzo Boldi
Processo sì, processo no. La Terra dei cachi. Solo qualche giorno fa Matteo Salvini mostrava i muscoli, tronfio della sua beltà da ministro che lo rende invincibile e inscalfibile davanti a tutto e tutti. Ora però, dopo qualche ora di riflessione, tutta quella spavalderia che lo spinse a sfidare il mondo gridando «voglio essere processato» sembra esser svanita. Adesso, in una lettera aperta scritta a Il Corriere della Sera, il leader della Lega fa dietrofront e chiede al Senato di negare l’autorizzazione ai giudici del Tribunale dei Ministri di procedere contro di lui per il caso della Nave Diciotti.
«Dopo aver riflettuto a lungo su tutta la vicenda, ritengo che l’autorizzazione a procedere debba essere negata – scrive un meno spavaldo Matteo Salvini al Corriere -. In questo non c’entra la mia persona. Innanzitutto il contrasto all’immigrazione clandestina corrisponde a un preminente interesse pubblico, posto a fondamento di precise disposizioni e riconosciuto dal diritto dell’Unione europea».
Matteo Salvini ci ripensa: «No al mio processo»
Poi tira in mezzo tutta la maggioranza del governo che, secondo il ministro dell’Interno, ha aderito e scelto insieme a lui cosa fare: «In secondo luogo, ma non per questo meno importante ci sono precise considerazioni politiche. Il governo italiano, quindi non Matteo Salvini personalmente, ha agito al fine di verificare la possibilità di un’equa ripartizione tra i Paesi dell’Unione Europea degli immigrati a bordo della nave Diciotti». Il tutto facendo riferimento alle conclusioni del Consiglio Europeo del 28 giugno 2018 che parlavano di lotta all’attività dei trafficanti eliminando gli incentivi ai viaggi nel Mediterraneo.
«Ho agito da ministro e non da singolo»
Infine, Matteo Salvini ricorda al Senato – che voterà sull’autorizzazione a procedere del Tribunale dei Ministri – perché non dovrebbe dare il via libera ai giudici. «Ove reputi, con valutazione insindacabile, che l‘inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo – scrive il ministro dell’Interno -. La valutazione del Senato è pertanto vincolata all’accertamento di due requisiti (ciascuno dei quali di per sé sufficiente a negare l’autorizzazione): la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o il perseguimento di un preminente interesse pubblico». Poi conclude: «Non rinnego nulla e non fuggo dalle mie responsabilità di ministro. Sono convinto di aver agito sempre nell’interesse superiore del Paese e nel pieno rispetto del mio mandato. Rifarei tutto. E non mollo».