Il caso Marta Loi: se decidono di mettere il tuo nome sulla tomba di un feto

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La denuncia social della donna che ha interrotto la propria gravidanza e hanno messo la sua identità sulla croce dedicata al feto

Da una parte una legge che le ha consentito di procedere con l’interruzione terapeutica della sua gravidanza. Dall’altra un regolamento che non è stato rispettato. E così una donna ha visto il suo nome scritto sulla croce che indica il luogo di sepoltura del suo feto. Quel figlio mai nato per motivi che, ovviamente, sono riservati. Una riservatezza dovuta e prevista dalle norme in vigore che, però, viene svilita da quel che è accaduto a Roma. Questa è la storia di Marta Loi, una donna che ha voluto rompere il silenzio per raccontare cosa le è accaduto.



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Attraverso un post pubblicato sul suo profilo social, la donna ha raccontato di aver interrotto la sua gravidanza qualche mese fa. Il tutto secondo le indicazioni terapeutiche e la legge all’interno di uno dei centri specializzati della capitale. Al momento di firmare i fogli con le varie pratiche burocratiche le venne chiesto se avesse intenzione procedere con le esequie e la sepoltura di quel feto. Lei disse di no.



Marta Loi, il nome della donna sulla tomba del feto

Sette mesi dopo la sua interruzione di gravidanza, Marta Loi ha ritirato il referto istologico. E, in quel momento, le sono tornate in mente quelle pagine lette sui giornali in cui si parlava del cimitero dei feti. E lì chiede a un operatore della clinica in cui si era recata che fine avesse fatto quel feto. «Signora noi li teniamo perché a volte i genitori ci ripensano. Stia tranquilla anche se lei non ha firmato per sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza. Non si preoccupi avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome». Il suo nome, quello di Marta Loi. Nonostante lei non avesse dato alcun consenso alla sepoltura e alle esequie.

E qui entra in ballo il regolamento pubblicato sul sito di Ama cimiteri capitolini (la municipalizzata che si occupa dei campi santi a Roma). E lì c’è una norma che recita:



i ‘prodotti del concepimento’ dalla 20^ alla 28^ settimana oppure i ‘feti’ oltre la 28^ settimana, vengono sepolti su richiesta dei familiari o, comunque, su disposizione della ASL.

E non solo:

i ‘prodotti del concepimento’ o i ‘feti’ che non hanno avuto onoranze funebri perché sepolti su semplice richiesta dell’ASL. Gli stessi giacciono in fosse singole, contraddistinte da un segno funerario apposto da AMA-Cimiteri Capitolini, costituito da croce in legno ed una targa su cui è riportato comunemente il nome della madre o il numero di registrazione dell’arrivo al cimitero, se richiesto espressamente dai familiari.

Il regolamento e la norma che non esiste

Nello stesso documento di Ama cimiteri capitolini, in cui si parla di questo progetto denominato ‘Giardino degli Angeli’ (al Flaminio) si fa una specifica: «In assenza di un Regolamento regionale, questo tipo di sepoltura è disciplinata dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 7 del D.P.R. 285/90». Insomma, non esiste alcune norma a riguarda dal punto di vista della Regione Lazio. Inoltre, come sottolinea Bufale.net, lo scorso anno Giorgia Meloni fu la prima firmataria di una proposta di legge che voleva l’obbligo di sepoltura per i feti abortiti. Anche senza il consenso delle famiglie. Ma il voto in consiglio comunale su questa proposta non venne mai calendarizzato. La storia di Marta Loi, dunque, sembra essere costellata di violazioni della legge sulla privacy e non solo. Mettere il nome di una donna sulla croce di un figlio mai nato rappresenta una marchiatura al pubblico ludibrio.

(foto di copertina: da profilo Facebook di Marta Loi)