Quanto è importante, per il nostro Paese, dotarsi di piattaforme che possano in qualche modo favorire al meglio la digitalizzazione dell’istruzione? Quanto è importante non essere dipendenti dagli strumenti di Big Tech? Oggi, questo problema non sembra essere prioritario, nonostante il fatto che grandi multinazionali come Google e Microsoft siano entrate ormai quasi in maniera monopolistica nelle scuole, imponendo di fatto il loro metodo per fare una video-lezione, per lavorare in gruppo da remoto, per gestire documenti. A discapito della concorrenza e del corretto trasferimento dei dati personali verso Paesi terzi. Maria Laura Mantovani, ex senatrice del Movimento 5 Stelle, ha più volte messo l’accento su questo aspetto. Nella passata legislatura, aveva approntato un disegno di legge sull’interconnessione unica e nazionale nelle scuole che non ha avuto seguito al di là della sua presentazione. Oggi, questo documento è stato trasformato in un emendamento della legge di Bilancio che, tuttavia, è stato giudicato inammissibile.
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«Google e Microsoft si sono concentrati non soltanto sulle scuole italiane, ma anche su quelle di tutti i Paesi del mondo – ha spiegato Maria Laura Mantovani ai microfoni di Giornalettismo -. Le grandi aziende di Big Tech acquisiscono dati su larga scala, in particolare dati personali. Non c’è distinzione tra quello che fanno in Francia, in Italia, in Brasile, in India: dove possono operano con questo obiettivo di raccogliere dati in diversi modi, soprattutto attraverso gli smartphone e le loro applicazioni».
La questione non è stata affrontata correttamente nemmeno dal punto di vista della comunicazione. Accordi tra alcuni colossi di Big tech e le istituzioni scolastiche erano già in essere prima della pandemia. Poi, la situazione emergenziale del lockdown ha imposto di trovare soluzioni per la didattica a distanza rapide e il più efficace possibile. In un contesto in cui la scuola italiana non sembrava pronta alla sfida della digitalizzazione.
«Per quanto riguarda la scuola e Google, l’accordo tra il colosso e gli istituti italiani era già in essere prima della pandemia – ha spiegato Mantovani -. Google e ministero dell’Istruzione avevano già un accordo per costruire una piattaforma gratuita per le scuole nel 2017. Naturalmente, il ministero non ha pensato alle conseguenze relative al trasferimento dei dati personali: ha constatato la gratuità dell’offerta e ha accettato di buon grado. Tuttavia, l’azienda ha comunque utilizzato i dati per monetizzare: dovrebbe essere noto a tutti che se il servizio è gratuito, il prodotto sono io».
A tutto questo, si è aggiunta una contestualizzazione non proprio esauriente e l’individuazione di scorciatoie da parte dei dirigenti scolastici: «La partnership tra Google e Microsoft è basata su Protocolli in rete. Qualsiasi istituzione pubblica o privata può fare una partnership con il ministero. Sono tantissime le realtà che hanno una partnership di questo tipo, penso a Wikimedia Italia, penso a Zanichelli. Sono accordi con il ministero per far conoscere i propri prodotti in un ambiente in cui magari possono essere adottati. Il problema è che un conto è questa visibilità, un conto è quando diventa un monopolio che non lascia spazio agli altri. Purtroppo, al tempo della pandemia, è stata fatta una pagina web sul sito del ministero dell’Istruzione che privilegiava Microsoft e Google come aziende per la didattica a distanza. Da qui, il problema di comunicazione: le scuole hanno inteso che queste piattaforme siano state consigliate direttamente dal ministero. Ovviamente, non si può accusare il ministero di questo perché non c’era un vero e proprio consiglio esplicito. Tuttavia, il fraintendimento a livello di comunicazione c’è stato e la responsabilità dell’adozione di queste piattaforme ricade sui dirigenti delle singole scuole».
Altro tema sensibile con cui fare i conti è sicuramente quello della scarsa preparazione della politica. Non c’è una indicazione prioritaria su questi aspetti, nonostante si sia cercato – anche nella passata legislatura – di affrontare la questione attraverso un disegno di legge ad hoc.
«Le scuole sono arretrate digitalmente perché non hanno mai avuto internamente delle competenze tecniche e informatiche che mantengano i laboratori all’interno degli istituti scolastici – ha detto Maria Laura Mantovani -. Attualmente, le competenze digitali sono affidate alla buona volontà dei singoli docenti, nella maggior parte dei casi, che offrono soluzioni artigianali o che cercano la strada più veloce delle piattaforme di Big Tech, che sono pronte all’uso e che sono facili da usare. Se ci fosse una consapevolezza di questa situazione a livello nazionale, si potrebbe agire per correggere: si potrebbe organizzare un centro di eccellenza, un raduno delle competenze, delle assunzioni di persone necessarie a questo scopo. Il mio disegno di legge andava proprio in questa direzione e ci sarebbe un fondo da 135 milioni di euro già dedicato a questo, approvato all’unanimità. Il problema è che le questioni relative alla digitalizzazione non sono mai nei punti più alti d’attenzione dell’agenda politica».
Colpa, forse, della mancanza di competenze: «Il problema è che ci sono competenze limitate a livello di gruppi politici – conclude -. Anche nel mio gruppo, persone che hanno competenza approfondita del tema sono pochissime. Negli altri gruppi sono ancora meno. A volte la politica non comprende la tematica, ma non la comprende nemmeno la società civile e i suoi gruppi organizzati che non fanno pressione. Se aggiungiamo l’eliminazione, da parte di questo governo, del ministero per la Transizione Digitale e l’affidamento delle sue funzioni a un sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ecco che aumentano i motivi di preoccupazione per il fatto che i temi digitali non siano all’ordine del giorno»