Una storia che ha tanti elementi critici. Una mamma in carcere per 2 anni e 10 mesi, un tentativo di linciaggio da parte delle altre detenute del carcere di Pozzuoli (che avevano scoperto la causa della detenzione delle donna), una rara malformazione genetica che impediva a due bambini – fratello e sorella – di assorbire correttamente i farmaci somministrati. Per anni è stata una «mamma avvelenatrice» nell’ottica di tutti quelli che hanno ascoltato la storia di Marina, 32 anni e il peso insopportabile di essere stata accusata per un reato che non aveva commesso.
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Due pubblici ministeri hanno chiesto assoluzione piena per la donna: un perito ha dimostrato che entrambi i suoi figli, arrivati in momenti diversi in pronto soccorso ed entrambi finiti in coma per quello che i medici avevano stabilito essere un tentativo di avvelenamento, soffrivano di una rara conformazione genetica, in base alla quale i bambini non riuscivano ad assimilare i principi attivi dei farmaci che, per questo motivo, si accumulavano nel loro corpo e facevano pensare a un avvelenamento.
Era stata anche costruita la storia della mamma spietata che faceva assumere di nascosto, sciogliendoli nel latte, dei farmaci ai propri figli. Nonostante la decisione delle due procure di Roma e Napoli, tuttavia, Marina non ha ancora la possibilità di riabbracciare i propri bambini: «Nessuno potrà cancellare il mio dolore – ha detto al Corriere della Sera -, quando guardavo le sbarre pensavo soltanto al fatto che solo le mie parole potevano testimoniare il fatto che fossi innocente. Ora, voglio rivedere i miei figli». La procura dei minorenni sta ancora esaminando la sospensione della patria potestà: per questo i ragazzini sono all’interno di una comunità protetta e non possono ancora essere incontrati dalla donna.
L’iter giudiziario di Marina sembra aver raggiunto un primo punto di svolta dopo 34 mesi. Ma tutto quello che ha provato fino a questo momento non può essere cancellato.