Le opinioni pubbliche sono tutte legittime, ma essendo di pubblico dominio possono essere analizzate e anche criticata. Ed è il caso dell’articolo comparso nella giornata di ieri – mercoledì 20 gennaio – sull’edizione online de Il Corriere della Sera. A scriverlo è Renato Franco che ha dedicato un suo approfondimento-riflessione sulla nuova serie Netflix su Lupin, mitico personaggio nato da un fumetto, prima di diventare un cartone animato. E ad interpretare uno dei ladri più famosi del piccolo schermo sarà il noto attore Omar Sy. E, per questo, si parla del Lupin Nero.
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Questo scrive Renato Franco nel suo articolo su Il Corriere della Sera.
Così dal whitewashing si è passati all’altrettanto assurdo blackwashing: ovvero mettere sullo schermo personaggi neri che storicamente dovrebbero essere bianchi. Così è successo di vedere un Achille di colore (David Gyasi) nella miniserie Troy – La caduta di Troia e una valchiria nera (Tessa Thompson) in Thor: Ragnarok. La summa del «famolo strano» l’ha raggiunta però Bridgerton, ambientata all’inizio del 1800 in Inghilterra, dove la regina britannica è afroamericana e la corte pullula di duchi e conti di colore. L’effetto è straniante, la verità storica (una società classista bianca) viene stravolta in una realtà fantascientifica (una società classista multirazziale). E la sensazione è quella di entrare in uno dei bar spaziali di Guerre Stellari piuttosto che alla corte della regina Carlotta di Meclemburgo-Strelitz.
Il Lupin nero di Omar Sy. La storia stravolta dal politicamente corretto https://t.co/qs9d3nJggR
— Corriere della Sera (@Corriere) January 20, 2021
Poi, ovviamente, spiega come quel Lupin nero non sia il Lupin che tutti conosciamo. E non per il colore della sua pelle. Il personaggio protagonista della serie su Netflix è, in realtà, Assane Diop. Insomma, il nome del noto ladro è utilizzato a mo’ di specchietto per le allodole. Ma le storie sono completamente diverse, così come i contesti e i canovacci attorno a cui si snodano le vicende dei due protagonisti.
Sta di fatto che parlare della storia stravolta dal politicamente corretto è ancor più capzioso dell’espediente utilizzato da Netflix con Lupin. Perché la storia non c’entra nulla. Un esempio? «Lo chiamavano Jeeg Robot» con Claudio Santamaria non era interpretato da un robot. E poi, visto che si parla di tradizioni e storia, anche tutte le pellicole più famose hanno rappresentato Gesù Cristo con la carnagione chiara. Ma ci sono studi che – e basterebbe notare la provenienza geografica e i luoghi della sua vita raccontati nel Vangelo – hanno sottolineato come ci siano molte più probabilità di un Gesù nero (o mulatto) piuttosto di un Gesù bianco. Ma lì non si parla di politicamente corretto.