«Quello? Non merita nemmeno di essere guardato in faccia. Un pezzo di merda, un povero drogato dalle guance scavate». Parola di Luca Traini che, ieri, nel carcere di Montacuto (provincia di Ancona) ha incrociato per un istante lo sguardo di Innocent Oseghele, accusato dell’occultamento e del vilipendio del cadavere di Pamela Mastropietro, ma non del suo omicidio. A riportare queste frasi è l’avvocato dell’estremista di destra che sabato 3 febbraio ha aperto il fuoco, ferendo diverse persone di colore.
Ma Giancarlo Giulianelli ha fatto anche un’altra confessione ai cronisti de La Stampa e de La Repubblica. Una frase agghiacciante, che dimostra come la distorsione della realtà circa questi episodi sia ormai un dato di fatto. «Non riuscivo quasi a parlare con Luca Traini – ha detto l’avvocato – perché venivamo continuamente interrotti da detenuti che volevano stringergli la mano e complimentarsi per quello che ha fatto».
Insomma, l’eroe della prigione. Che lo stesso Traini considera quasi come una famiglia: la sua unica missione, a quanto pare, sembra quella di voler scontare la sua pena. Così, succede che l’attentatore venga osannato, tra le sbarre della prigione. Si avverano, quindi, le profetiche parole dello stesso avvocato di Traini che si era detto preoccupato per il clima di celebrazione intorno al gesto del suo assistito.
Nel frattempo, Traini resta lì. In mezzo alle strette di mano e alle grida esultanti degli altri detenuti. «Gli porterò il libro Il Totem del Lupo di Jiang Rong, gli servirà per passare il tempo. Mi sembra appropriato». Sempre se avrà il tempo di leggerlo: la sensazione (inquietante) è che, dietro alle sbarre del carcere di Montacuto, Traini abbia terreno fertile per fare proselitismo.