E’ morto Luca Svizzeretto, speaker radiofonico, critico cinematografico e giornalista sportivo. E sognatore

Ci provo, Luca. Perché qualcuno deve farlo. Perché quest’Italia di raccomandati non te l’ha riconosciuto in vita. Ci provo, anche se le lacrime mi rigano il viso, anche se ho perso un fratello, anche se sto qui, in una stanza d’albergo a cercare biglietti d’aereo ma non riuscirò ad essere al tuo ultimo saluto, alla Chiesa Gesù Divin Maestro, venerdì 30 settembre, alle 10.30 a Roma. Ci provo, Luca, perché eri, sei un grande giornalista. E allora è un articolo che deve ricordarlo. Perché l’ultimo pezzo, dei tanti che hai scritto, provo a farlo io per te.

Luca Svizzeretto è morto ieri, a soli 38 anni (li avrebbe compiuti fra poco più di un mese): era un grande uomo e un grande giornalista. Un lavoratore straordinario, capace di lavorare giorno e notte senza fermarsi. Per inseguire un sogno bastardo, quello di raccontare la realtà o l’arte, a volte entrambe, in un paese che non sa leggere. Non sa leggere le parole e neanche i talenti. Ecco perché Luca te ne vai avendo fatto tanta gavetta, avendo subito troppe ingiustizie, avendo ingoiato sconfitte che non meritavi: perché anche se da lati politici opposti, entrambi sapevamo che in Italia si perde senza riuscire neanche a giocarsela.

Ci siamo conosciuti a Nuova Spazio Radio, grazie a un maestro, Ezio Luzzi, un grande vecchio che aveva deciso di puntare su due ventenni senza esperienza, ma con il fuoco dentro. Tu dalle 20 alle 21, io dalle 21 alle 22. Tu conducevi Spazio Inter, io Spazio Napoli. Che litigate, amico mio, i primi mesi. Ma mano a mano scoprivo quella tua professionalità rigorosa e appassionata, che ti fece fare un intervento magistrale, da maestro di giornalismo, in quel giorno in cui la tua Beneamata perse lo scudetto a Roma, contro la Lazio. E tu eri all’Olimpico. L’Inter era la tua seconda pelle, sapevo quanto soffrivi in quei minuti: eppure non dicesti una parola fuori posto, facesti il tuo lavoro. Ero in studio, mentre tu eri in collegamento: non riuscii a non esprimere tutta la mia ammirazione per te, in diretta. E’ sempre stato così, sempre. In radio, anche quando con Laura Celani facemmo Shaker: una sorta di Lercio radiofonico ante litteram, un programma surreale e pieno di ritmo che in un network avrebbe spopolato.

Eri, sei un cavallo di razza, un purosangue. Non avevi paura di nessuno, se ritenevi giusto combattere una battaglia, ti buttavi nel fango e lottavi, anche se la guerra era persa in partenza. Anche se eri da solo, anche se gli altri avevano le bombe e tu solo una fionda. Anche se non era la tua: fui cacciato, un giorno, per un mix di invidie meschine di colleghi e politica: tu, precario come me, fosti l’unico a difendermi.
Impulsivo, sentimentale, passionale nella vita come nella professione.

Ti hanno massacrato, le iene di questo ambiente corrotto e scorretto. Giudicandoti, perché non rinunciavi ad essere diverso, scomodo, ruvido proprio in un mondo in cui l’omologazione e la piaggeria sono la regola. Eri coraggioso. Di quel coraggio degli uomini e dei giornalisti veri: di fronte a quel Crohn maledetto, quel mostro, così come alle storture di un lavoro come il nostro. Cadevi, mai per colpa tua. Ti rialzavi ogni volta. Sei, eri un sognatore. L’ultimo regalo che ti ho fatto era una tazza con su disegnata la sagoma di un genio ignorato in vita e glorificato postumo: Fernando Pessoa, uno dei miei autori preferiti. “L’uomo è fatto della materia dei suoi sogni”. Eri così: credevi ferocemente in ciò che amavi. Fossero gli amici o i progetti che creavi dal nulla.
Hai dimostrato il tuo valore ovunque: penso a un giornale locale – che non cito perché non merita neanche questa pubblicità negativa – in cui facevi mezzo quotidiano da solo e che ti ha ricompensato con un benservito infame, senza motivo. Non hai mai avuto padrini, tu, nessuno che ti mettesse al posto giusto al momento giusto. Hai fatto capire di che pasta eri fatto quando hai aperto Filmhouse, Soccerhouse (ora racchiusi in HouseTv) le tue creature, i tuoi gioielli. Quando hai usato prima di altri i video su internet (ricordi le nostre video recensioni nel salotto di casa mia?) – quante idee, Luca, quante ti hanno scippato colleghi che hanno fatto del parassitismo un arte? -, quando per Italpress andavi ovunque e scrivevi le agenzie con la passione che mettevi nelle tue critiche cinematografiche o nei tuoi editoriali sportivi. Anche su Facebook non rinunciavi alla parola, i tuoi status fiume sull’attualità o sul calcio creavano discussioni infinite, così come nelle ultime settimane le tue dirette. E ancora Elle Radio, Radio Rock con l’amico e sodale fraterno Paolo Di Censo, perché quando ti mettevi le cuffie, con quella voce inconfondibile, non ti fermava nessuno. Chiedete a un interista romano chi è Luca Svizzeretto: prima c’erano tifosi nerazzurri dispersi nella Capitale, dopo di lui c’è stato un popolo che ancora si commuove al pensiero del suo “Toldone!!!” urlato in una radiocronaca di Inter-Juventus in cui segnò il portiere nerazzurro. Ti amavano anche i non interisti: per il triplete esultai persino io e quel mondiale per club con l’odiato (da te) e amato (da me) Benitez, l’abbiamo vissuto insieme. Ai cinesi qualcuno dovrebbe dire chi sei: magari Moratti e Thohir, che la tua passione l’hanno conosciuta e apprezzata.

Sono qui Luca. In una camera d’albergo in cui tutto è disordinato, come sempre. Quel disordine tutto mio di cui ridevi e di cui, debilitato dalla malattia e impossibilitato a farci il nostro Festival di Locarno insieme quest’anno, hai persino sentito la mancanza. Quanti festival abbiamo girato insieme: dividendoci stanze, risate, letti, auto, incazzature, interviste, impressioni, confidenze, speranze? A spezzarci la schiena per un pugno di euro, perché noi free-lance prima paghiamo di tasca nostra e poi forse vendiamo qualcosa. Quanti progetti? Stavi scrivendo un libro bellissimo, amico mio, ne eri così entusiasta. Nella mia cucina mi raccontavi la storia e ne ero rapito. Persino Marie-Eve ha continuato a parlarne nei giorni a venire. Scrivilo con me, Luca. Dettamelo. Tu sei qui: con il tuo esempio, con la tua passione. Il tuo talento, la tua forza di volontà, la tua lealtà, il tuo essere ostinato e contrario, sono qui. La tua era una “passionaccia” vera, che ti ha fatto lavorare fino alla settimana scorsa e che ti ha tolto più di quanto ti abbia dato. Non ti ha mai restituito quanto meritavi. E se tu mi hai lasciato solo a combattere per andarti a fare due chiacchiere con Facchetti e Prisco, io voglio scrivere con te. E quel festival, quello che ci ha riempito la testa e il cuore negli ultimi mesi, lo facciamo, cazzo. Non ti fermeranno, Luca, se la devono vedere con noi: come vent’anni fa, come dieci anni fa, come ieri.

Buon viaggio, fratello mio. Senza di te niente sarà più lo stesso.

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