Regola ribaltata. Jair Bolsonaro ha imposto ai social network l’impossibilità di rimuovere post e siti disinformativi – permettendo l’eliminazione dell’account di qualcuno solo «per giusta causa» – una decina di giorni fa ma la decisione congiunta di Senato e Corte Suprema del Brasile hanno ribaltato la situazione. Le regole di Bolsonaro – che sono diventate a tutti gli effetti un decreto presidenziale – sono state annullate poiché, di fatti, vietavano alle piattaforme di rimuovere ciò che viene classificato come disinformazione sulle prossime elezioni presidenziali.
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Il punto focale è la disinformazione in vista delle elezioni presidenziali nel paese. La decisione ha fatto fuori una delle leggi più restrittive e intrusive imposte in un paese che si dice democratico. Le aziende tech e agli avversari politici di Bolsonaro si sono allarmati, concordando rispetto al fatto che una legge del genere avrebbe minato la fiducia nelle elezioni del prossimo anno.
Una storia che ricorda quella di Trump e degli Usa, considerato che – come sottolinea il NYT – Bolsonaro ha utilizzato i social network per dire che il solo modo in cui potrebbe perdere le elezioni sarebbe con un voto truccato. La storia recente ci insegna quali sono state le conseguenze di tale utilizzo dei social da parte di un presidente (i fatti di Capitol Hill lo scorso 6 gennaio).
Un’osservazione importante quella fatta da Mauricio Santoro, professore di relazioni internazionali all’Università statale di Rio de Janeiro: «È un segno molto positivo che la classe politica brasiliana abbia reagito». Del resto, Bolsonaro ha sfruttato Internet come veicolo per diffondere il suo populismo di destra e diventare presidente nel 2018 e ci sta provando anche adesso.
Più di una volta alcuni suoi contenuti disinformativi sul coronavirus sono stati rimossi dalle aziende social per disinformazione sul coronavirus. La scorsa settimana, all’apice della battaglia tra il presidente e le aziende tech, Bolsonaro ha emanato una legge che – di fatti – impediva ai social di bloccare la disinformazione di cui spesso si è servito perché non si tratta di palesi violazioni come possono essere pornografia, nudità o violenza esplicita.
Tra le aziende social, solo Twitter ha lodato l’azione del Senato e della Corte suprema mentre Facebook e Youtube non hanno voluto commentare. Stessa cosa ha fatto Bolsonaro.