La differenza tra il gossip fatto bene e il gossip fatto male

Categorie: Mass Media

Quale è? Lo abbiamo chiesto a Salvatore Patriarca, giornalista e autore del libro "Popgiornalismo: Il caso Dagospia e la post-notizia"

Il giornalismo di gossip è sicuramente tra le categorie più contestate e che – nel tempo – sono state maggiormente al centro di quesiti deontologici sui confini varcati e non. Alla luce di quanto abbiamo ricostruito sulla vicenda della separazione di Bonolis e Bruganelli abbiamo deciso di parlare con Salvatore Patriarca, giornalista, autore e studioso del settore, per capire in che modo il lavoro di Dagospia risulta classificabile come gossip fatto bene e quello che, invece, è gossip fatto male.



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Il metodo Dagospia nel gossip

«C’è una questione centrale che riguarda il modello con cui lavora Dagospia – ha esordito il giornalista partendo dalla vicenda Bonolis-Bruganelli -. Dagospia lavora con una sorta di modello ibrido. Non ha solo il tema dell’informazione in senso stretto come può considerarsi quella di un giornale ma anche, in senso più lato, il tema della notizia come elemento interessante che riguarda l’ambito privato delle persone. Questo è un elemento decisivo rispetto al modo in cui la società si è trasformata negli ultimi 150 anni, non solo negli ultimi 20: per capire cosa accade intorno a noi non basta solo che sapere le cose ufficiali di cui vengono comunicate le indicazioni – e quindi, per esempio di una società si sanno bilanci e utili -, questo non basta per investire su una società in borsa perché servono tante altre notizie correlate».



E Dagospia fa questo, «ritiene che tutti i personaggi che hanno, in qualche modo, interesse sociale rientrano in questa dinamica in cui informazione e notizie definiscono a tutto tondo quella che è la caratteristica di un personaggio». «Il tema del divorzio Bruganelli-Bonolis è, in senso stretto, un argomento pop perché riguarda la cultura popolare. Bonolis è un personaggio che definisce molto il modo con cui si percepisce l’italiano mediamente acculturato, il mid cult della società italiana: uno che sa parlare, che sa ragionare e che – quindi – definisce quello che un italiano vorrebbe essere, da un certo punto di vista. In più, ha una storia familiare molto normale: tot figli con una prima moglie, altri con una seconda, pur nel successo è una persona stabile. Lo possiamo definire pop e, per questo, ci interessa. La Bruganelli diventa, a sua volta, un personaggio pop – prima sui social, poi in tv – e quindi diventa oggetto di interesse pubblico».

«A questa dimensione pop – prosegue Patriarca – Dagospia va ad aggiungere i riflettori informativi: nel momento in cui ha un’indiscrezione rispetto a questi due personaggi, la trasforma in fatto comune di informazione e in notizia. Lì si apre il compito che sta sia all’informazione nel senso tecnico sia al pubblico: sta al lettore/professionista capire se le caratteristiche che ha questa notizia rispetto al contesto che ha intorno è veritiera o no. Nel caso di Dagospia, nel momento in cui la dà, è convinto che sia sia importante che veritiera. Logicamente, si espone poi al confronto – e quindi alle smentite –, di fatto però quell’“opera aperta”, come chiamo io la notizia nel libro, rimane aperta: oggi siamo a giugno e parliamo di una cosa di maggio, non consideriamo conclusa quella notizia ma aperta».



Per aperta, quindi, si intende al contributo di altri che ne permettono l’evoluzione: «Aperta rispetto al produttore della notizia (Dagospia), ai protagonisti della notizia e rispetti ai fruitori della notizia. Questo è un modello contrario a quello tradizionale della notizia, che entra in un giornale di carta (il redattore la fa, tu la leggi e domani è finita). In Dagospia, invece, c’è un flusso continuo di compartecipazione e nel momento in cui la notizia trova conferma ulteriore, ecco che si riapre il meccanismo: a quel punto Dagospia riconferma quanto affermato prima, i lettori – che ci avevano creduto e avevano trovato conferma nel modo generale in cui la coppia si comportava – ricevono una ulteriore conferma sul modo di lavorare di Dagospia e si crea un rafforzamento del brand di Dagospia, che vent’anni fa era qualcosa di scandaloso di cui vergognarsi mentre ora è diventato il marchio del riconoscimento di qualcosa che viene fatto in modo moderno e valido».

Che tipo di lavoro, in questo campo, aggiunge un valore?

«Il gossip fatto male è quello fine a se stesso, che non costruisce un percorso conoscitivo che arrivi da qualche parte. Nel caso della separazione annunciata da Dagospia, se Bonolis il prossimo anno abbandona la televisione, passa in Rai oppure cambia lo stile televisivo questo ha un impatto nell’immaginario collettivo italiano perché Bonolis è un personaggio fondamentale. Il modo in cui oggi Dagospia ha insistito rispetto al divorzio diventa un tassello fondamentale per capire queste trasformazione. Cosa vuol dire? Che il gossip fatto male è: un presunto personaggio famoso va al ristorante a cena con una persona, fanno loro una foto e dicono: “è a cena con tizio”. Questa è una notizia fine a se stessa che non cambia nulla, pura curiosità che in qualche modo determina un meccanismo autoproduttivo di notizie che non sposta nulla per il lettore». E diventa, a tutti gli effetti, mettere in giro una voce – magari anche maligna – sul tipo di rapporto che c’è tra due persone o più persone.

«Se invece la stessa persona, che è conduttore di un programma, va al ristorante a cena con il produttore di un programma concorrente, quella stessa foto che con una persona X sarebbe stata inutile e gossip fine a se stesso, nel momento in cui si trova una connessione informativa che dice qualcosa che ancora non si sa, diventa gossip interessante», spiega il giornalista. Gossip che continua ad avere successo – come dimostrano blog, siti e esperimenti di successo che trattano quello che comunemente facciamo rientrare nel gossip – «perché è indicativo della complessità in cui viviamo. La realtà è più complicata di come viene raccontata e sappiamo che molte cose avvengono nel non detto: nelle simpatie e nelle antipatie, nelle prossimità, nelle vicinanze di casa e nelle parentele, nelle relazioni interpersonali – sessuali o non sessuali -. Il gossip ci permette di gettare luce sull’oscuro della luna – sugli elementi che entrano nelle decisioni delle persone e che non sappiamo decifrare -: il gossip dà luce al lato oscuro della realtà e ci permette di accrescere la nostra conoscenza della verità in modo imprevisto, imprevedibile e di creare connessioni che danno significatività a quello che, altrimenti, sarebbe un freddo fatto non comprensibile al di là di ciò che si dice».

Rimane pur vero però, in conclusione, che delle basi concrete devono esserci: «Il gossip non è invenzione». E non è supposizione ma – secondo l’autore – il creare, nella mente delle persone, le eventuali implicazioni che derivano basandosi su una notizia concreta («per esempio, la fotografia di Renzi e Mancini all’autogrill che non era un gossip ma un’informazione importante che fa capire il modo in cui vengono gestite le relazioni tra i poteri dello Stato»).