Il Kenya è il Paese dove gli influencer vengono pagati per diffondere disinformazione

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Una serie di account si muove all'unisono - e con un coordinamento efficace - per promuovere campagne di comunicazione politica contro istituzioni, giudici, giornalisti e attivisti

Vi ricordate quando vi abbiamo parlato di influencer francesi del settore della divulgazione scientifica a cui venivano fatte delle offerte da non meglio specificate agenzie di comunicazione al fine di screditare, sui loro profili, i vaccini Pfizer? Ecco, pensate a una situazione del genere che si concretizza e pensate a decine di persone che vengono pagate per diffondere disinformazione e dichiarazioni false in generale in merito ad argomenti relativi alla società civile, alla politica, alle battaglie degli attivisti. Succede in Kenya: un’analisi di Wired ha dimostrato come, utilizzando Twitter, venivano veicolati alcuni messaggi politici (o meglio, di propaganda politica) che avevano come bersaglio giudici, attivisti e giornalisti.



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Come funziona la disinformazione su Twitter in Kenya

L’approfondimento di Wired dimostra che, su un campione di 11 hashtag virali analizzati in un periodo di tempo di circa un mese, otto hanno ottenuto un’amplificazione sufficiente per diventare argomenti di tendenza in Kenya. Le azioni dei vari influencer (alcuni anche verificati) avvenivano tutte in un periodo di tempo molto concentrato: l’hashtag saliva in tendenza in pochi minuti, grazie all’attività di un gruppo di account abbastanza vasto che individuava un obiettivo e lo bersagliava a colpi di tweet. Argomenti al centro dell’agenza politica kenyana, ad esempio, venivano completamente ribaltati rispetto alla realtà dei fatti proprio in seguito a queste campagne di disinformazione.



I coordinatori di queste campagne organizzavano una chat privata su WhatsApp – che Vice ha potuto leggere, grazie all’aiuto di alcuni influencer che sono voluti rimanere anonimi – che dava il via alle azioni coordinate di disinformazione sui social network. Stando a queste testimonianze, le persone coinvolte in queste sistematiche campagne di disinformazione riuscivano a guadagnare anche 10-15 dollari al giorno (per un massimo di 250 dollari al mese), in un Paese dove il salario minimo è di un dollaro al giorno. Un movimento che, in base al tenore di vita in Kenya, offre davvero una cifra appetibile.

L’appello delle organizzazioni contro la disinformazione in Kenya

Alla fine, il risultato di questa indagine mostra come in Kenya le attività di questo genere sui social network creino un clima tale per cui le persone, nel dibattito politico quotidiano, non sanno più distinguere tra le notizie vere e le notizie false: gli stessi giornalisti (oltre che i politici individuati come target e i giudici) vengono presentati come millantatori, vengono descritti con report totalmente costruiti ad arte, causando così una situazione di confusione senza precedenti. L’appello delle associazioni che si battono per la libertà d’espressione e per la lotta alle fake news in Kenya hanno chiesto un intervento risoluto dello stesso Twitter, per mettere un argine a questa deriva da scenario post-apocalittico.