L’incredibile indagine del Pentagono partita da un complotto pieno di fake news di QAnon in rete

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Lo rivela il giornalista Jonathan Karl nel suo libro Betrayal

La bufala l’abbiamo declinata in tutte le salse. Perché ce ne siamo occupati sin dal primo momento della sua genesi. Prima ancora dell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio, nelle reti complottiste legate a QAnon (in buona parte, questi testi erano diffusi attraverso Parler), si era diffusa la notizia che l’Italia, attraverso dei sistemi informatici non meglio precisati dell’azienda Leonardo, avrebbe contribuito ad alterare il risultato delle elezioni americane, spostando voti da Donald Trump a Joe Biden. Ovviamente, un’accusa che non trova alcun riscontro nella realtà dei fatti. La propaganda pro Trump, tuttavia, ha insistito a lungo su questa tesi – ribattezzata Italy Gate – che, a quanto pare, ha condizionato lo stesso ex presidente Usa che, dalla Casa Bianca, ha dato mandato al Pentagono di investigare in merito.



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Fino a cosa si era spinto Trump sulla clamorosa bufala dell’Italy Gate

Il giornalista Jonathan Karl, nel suo libro Betrayal, ha parlato di una inchiesta del Pentagono sull’Italia – che avrebbe coinvolto anche due detenuti del nostro Paese – sull’Italy Gate, pur avendo acquisito informazioni da più parti che la tesi portata avanti dalla Casa Bianca non aveva alcun riscontro reale.



Kash Patel, capo dello staff del segretario alla Difesa ad interim, è stato l’elemento che ha messo in connessione gli investigatori del Pentagono con la Casa Bianca. Il tutto era partito da una certa Michelle Ballarin, fantomatica ereditiera della Virginia, che avrebbe instillato il dubbio – attraverso una sua collaboratrice – direttamente a Donald Trump, sempre in merito a un presunto coinvolgimento dell’Italia nell’altrettanto fantomatica alterazione dei risultati delle elezioni presidenziali americane. A quanto pare, secondo Jonathan Karl, un inviato della DIA partito dall’ambasciata americana, avrebbe sentito due detenuti italiani in merito alla questione. Ovviamente, non trovando alcun riscontro nell’interrogatorio.

Questa informazione, che Karl dice di aver ottenuto da una fonte, deve essere ancora confermata. Ma se lo fosse, sarebbe molto grave per l’apparato istituzionale italiano: mettere a disposizione delle autorità americane elementi per poter raccogliere prove su un complotto che non aveva nulla di solido se non la sua diffusione, attraverso hashtag sapienti, sui social network.