Non è possibile contestare l’istigazione al suicidio per chi posta sui social video violenti

Categorie: Attualità
Tag:

La decisione del giudice sul caso di Igor Maj, 14 anni

Igor Maj era un ragazzino di 14 anni. Nella sua cronologia di YouTube, nel 2018, qualche giorno prima di essere trovato senza vita, con una corda legata al suo letto a castello, aveva visionato un video da quasi 1 milione di views: 5 sfide pericolosissime che i ragazzi fanno per internet. Il pm Cristian Barilli che si stava occupando del caso alla procura di Milano ha chiesto, tuttavia, l’archiviazione per il gestore del canale YouTube per quanto riguarda l’ipotesi dell’istigazione suicidio via social. Non ci sarebbero gli elementi, sia dal punto di vista oggettivo, sia dal punto di vista soggettivo, di collegare una sua qualsiasi responsabilità al gesto commesso dal minore.



LEGGI ANCHE > Perché se cercate #hangingchallenge su TikTok non troverete sfide di soffocamento

Istigazione suicidio via social, la motivazione dell’archiviazione sul caso Igor Maj

Il pm, infatti, non ha ravvisato una precedente volontà di suicidarsi da parte del minorenne – in quanto, prima di compiere il gesto, non aveva manifestato alcun disagio o alcun proposto in questo senso – e che, dunque, la visione del video non abbia contribuito a rafforzare una volontà che, secondo il magistrato, non esisteva. Inoltre, il pm sottolinea la mancanza anche di un dolo generico: non si può dimostrare che quel video sia stato pubblicato per istigare gli utenti di un social network a emularlo. Anche perché – si evidenzia – la clip è stata vista da quasi un milione di persone, con otto segnalazioni sull’inadeguatezza dei suoi contenuti, alcune anche precedenti al dramma di Igor Maj.



Il confronto tra Igor Maj e i casi di Palermo e Bari

La motivazione dell’archiviazione dell’istigazione al suicidio, anche se risale a un caso del 2018, diventa nuovamente attuale in seguito all’episodio che si è verificato a Palermo (una ragazzina di 10 anni che è stata trovata in fin di vita in bagno e che è morta nelle ore successive) e che, secondo quella che al momento è solo una ipotesi investigativa, stava girando un video per TikTok (in molti hanno parlato di presunte challenge sul social network, anche queste scarsamente dimostrabili). Ma anche rispetto a un altro fatto di cronaca che è capitato a Bari, su cui si erano rincorse voci relative a una presunta sfida sui social che non ha ottenuto alcun riscontro nei fatti al momento.

Ciò che è risultato evidente dalla decisione del pm è quanto sia difficile contestare a chi posta video sui social delle responsabilità penali in eventuali comportamenti autolesionisti messi in atto dalle vittime. Per questo motivo, l’azione di controllo delle piattaforme sui contenuti che vengono postati risulta essere ancora più importante e più determinante. Così come dovrebbe essere attivo un maggiore controllo preventivo da parte delle forze dell’ordine. Ma ormai la situazione sembra essere sfuggita di mano: per una piattaforma che aggiorna termini e condizioni di utilizzo per evitare di postare video dai contenuti violenti, ne nascono altre cento – magari più amatoriali e “artigianali” – sulle quali quello stesso contenuto potrà essere accessibile.