Isis e attentati a Parigi, come raccontarlo ai vostri figli

16/11/2015 di Redazione

Non raccontare ai bambini, non spiegare, le motivazioni e le ragioni di quel che è successo nel weekend scorso, con Parigi sotto attacco da parte di terroristi dell’Isis, è una tentazione comprensibile per i genitori che cercano di risparmiare ai loro figli il dover elaborare una realtà tanto complessa; eppure, spiegano gli esperti, è anche una tentazione controproducente, perché senza l’aiuto dei genitori saranno i bambini a farsi un’idea propria di quanto accaduto in Francia.

PARIGI SOTTO ATTACCO, COME RACCONTARLO AI VOSTRI FIGLI

Time Magazine ha parlato con vari esperti e terapeuti che confermano: parlare con i bambini dei fatti di Parigi è importante, e un modo c’è.

“Non evitate di parlare con i bambini, perché è davvero probabile che i vostri figli verranno a sapere di quanto è avvenuto, ed è meglio che voi siate in grado di rispondere alle domande, raccontare i fatti e impostare il tono emotivo. Iniziando il dialogo, e permettendo e incoraggiando i vostri bambini ad esprimere i loro sentimenti, li aiuterete a costruire degli schemi solidi che gli torneranno utili in futuro”.

I bambini non sono stupidi, dice insomma Harold Koplewicz, presidente del Child Mind Institute. 

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Ci sono strategie diverse per ogni età del bambino, per poter parlare efficacemente e raccontare quanto avvenuto a Parigi, trasformandolo in un’occasione di crescita prima di tutto per loro. Gli unici per i quali vale la pena un po’ aspettare sono i piccoli “al di sotto dei cinque anni”, che “confondono i fatti con le paure”, e per loro “limitare l’accesso alle notizie è consigliabile: rispondiamo alle domande, ma ricordando di non dare più dettagli di quanti non ne chiedano. Quando i bambini iniziano ad andare a scuola, è più probabile che abbiano contezza di quanto sia avvenuto: “I genitori dovrebbero interessarsi al benessere dei figli. I dettagli su chi, cosa, dove e perché devono guidare la discussione verso le paure più recondite dei bambini”, continua l’esperto: non è necessario scendere in dettagli, né utilizzare parole “eccessivamente drammatiche”; né, però, sviare le domande dei bambini: “Cerchiamo di non etichettare le loro paure come stupide perché sono naturali; anche se è giusto dire che eventi come questi sono rari e poco probabili per i bambini. Diciamo semplicemente ai bambini che sono al sicuro e che sono amati”. Possiamo dire, inoltre, che “i cattivi sono stati presi”.

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I bambini poi crescono, e quando sono nell’età della scuola media, è plausibile che sia il momento di prendere l’iniziativa. “Chiedetegli se hanno sentito dell’attacco e cosa ne pensano”, poi “rispondete semplicemente alle domande, sottolineando che sono al sicuro e che ci sono degli adulti che lavorano sodo per evitare che accadano di nuovo cose del genere”. E’ anche possibile che risultino “indifferenti” agli attacchi, ma non lo sono mai: potrebbero comportarsi in maniera diversa dal solito, magari “passando più tempo con parenti ed amici, o più tempo da soli. E’ importante far sapere ai bambini che è normale esprimere le cose in maniera diversa”, continua l’esperto. Passando agli adolescenti, che invece avranno letto moltissimo su quanto accaduto “magari sui social network”, la comunicazione sarà fondamentale, anche perché “è del tutto normale sentirsi rispondere che non vogliono parlare”; altrettanto fondamentale sarà iniziare il discorso “mentre si sta facendo altro”, come ad esempio “un’attività insieme” visto che questi sono “argomenti complessi e non saranno risolti di qui a poco”. Gli esperti aggiungono quanto sia importante “emettere calma” non rinunciando “ad esprimere le proprie emozioni”; è anche il momento di parlare da adulti: “Rassicurazioni generiche non basteranno. Parliamo in termini di probabilità di essere attaccati”.

 

 

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