Come si possono interpretare i numeri e le conclusioni del rapporto PIRLS2021 sulla comprensione della lettura in quarta primaria? Per commentare questa ricerca abbiamo chiamato in causa l’AD di MyEdu – piattaforma didattica digitale made in Italy per lo studio a casa -, Laura Fumagalli. «L’analisi ci trova d’accordo – ha esordito Fumagalli ai microfoni di Giornalettismo -: in Italia il digitale è riconosciuto dai docenti come strumento dall’enorme potenziale inclusivo e quindi – giustamente – utilizzato anche come strumento “compensativo” e inclusivo».
L’interpretazione data nello studio (quella relativa agli strumenti digitali utilizzati come «misure compensative per studenti con difficoltà d’apprendimento»), quindi, sarebbe corretta nel contesto dell’istruzione italiana ma – giustamente – occorre allargare l’orizzonte e ampliare le riflessioni che si possono ottenere da questi dati.
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Secondo Fumagalli l’affermazione “gli studenti che non usano dispositivi digitali per attività scolastiche ottengono risultati migliori in lettura”, posta in questo modo, non può stupire: «Il rapporto Pirls monitora un dato molto circoscritto e specifico nell’ambito delle competenze dell’apprendimento scolastico, ovvero i risultati in lettura (comprensione del testo scritto). Guarda caso, le conclusioni del rapporto ci dicono che le bambine e i bambini che hanno ottenuto punteggi più alti in lettura sono quelli che amano molto leggere (ma va?), quelli che erano già allenati prima di arrivare alla primaria e quelli provenienti da un contesto ad elevato indice socioeconomico e culturale (famiglie in cui si incentiva l’attività di lettura)». Queste conclusioni dall’AD di MyEdu vengono qualificate come ovvie.
«Ecco perché troviamo poco consistente – ha proseguito – l’associazione di questa competenza con l’uso del digitale a scuola: nessuno potrebbe sostenere in buona fede che i device digitali insegnano a leggere e comprendere i testi meglio dei libri! L’unico modo per imparare a leggere e comprendere ciò che si legge è… leggere. Libri. Possibilmente cartacei, quelli con le pagine che si sfogliano, si sottolineano e si scarabocchiano. Quelli che ci portiamo sempre nello zaino e su cui sogniamo avventure in mondi fantastici e sconosciuti».
«Per rimanere sulla scia delle deduzioni ovvie – spiega Fumahalli – non è plausibile che chi utilizza i dispositivi digitali così come indicato nella domanda (“per fare ricerche online”) sia proprio chi cerca nel pc o sul tablet distrazioni perché non è un grande amante della lettura?».
Andando ad analizzare la domanda “In un normale giorno di scuola, per quanto tempo utilizzi un pc/tablet/cellulare per trovare e leggere informazioni?” risulta evidente come il quesito «indaghi il rapporto tra tempo di utilizzo del digitale per “fare ricerche online” e performance di lettura dei ragazzi: ma quale legame ci può essere tra le due cose?».
«Questo aspetto non descrive l’utilizzo che si fa a scuola della tecnologia digitale, che dai ragazzi non viene utilizzata banalmente per “fare ricerche”, tanto più che le bambine e i bambini di 9 anni – oggetto dell’indagine – non dovrebbero utilizzare da soli i motori di ricerca, e sfido a trovare un solo insegnante che in classe autorizzi un bimbo di 9 anni a farlo da solo, con l’enormità di contenuti pubblicitari e inadeguati alla sua età in cui può incappare. La tecnologia digitale in classe, ancor più alla scuola primaria, è strettamente guidata dal docente, che propone alle bambine e ai bambini contenuti non banalmente da leggere, ma strutturati in modo da espandere e arricchire l’esperienza scritta: e quindi video, risorse interattive, giochi didattici, test ed esercizi da svolgere in gruppo», prosegue la riflessione.
Commentando i risultati di PIRLS2021 Fumagalli mette sul piatto un sondaggio fatto da MyEdu (“La scuola che non vediamo”) che, nel maggio 2023, ha restituito come «l’88% dei docenti crede che la tecnologia digitale abbia un grande potenziale di inclusione, facilitazione dell’apprendimento, coinvolgimento degli studenti e valorizzazione dei loro talenti: ecco come viene utilizzato il digitale in classe – non per imparare a leggere».
Sulla rilevanza del quesito, inoltre, ci si pone un altro dubbio: quello sulla differenza dei risultati per gli studenti italiani e quelli internazionali: «I risultati stessi del quesito sono molto contradditori: se in Italia sembra che il minor utilizzo del digitale “per fare ricerche online” sia direttamente proporzionale a migliori risultati in lettura, a livello internazionale è il contrario, ovvero chi dichiara di non utilizzare dispositivi digitali ha risultati nettamente inferiori in lettura rispetto a chi li utilizza 30 minuti al giorno. Basterebbe questo dato a farci porre qualche dubbio sulla rilevanza del quesito».
La constatazione finale di Fumagalli entra nel merito della metodologia: «Forse, per avere risposte rilevanti, sarebbe utile circoscrivere le domande in modo che siano meno teoriche e più attinenti alla realtà quotidiana della Scuola. Tanto più se stiamo indagando un aspetto così centrale e importante come l’applicazione del digitale alla didattica e all’apprendimento, non possiamo farci bastare una frase decontestualizzata per mettere in discussione tutto, no?».