Ma un ministro degli Esteri russo si deve intervistare o no?

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L'attacco a Mediaset per aver ospitato il ministro Sergey Lavrov e la gerarchia delle notizie

È una questione di prospettive del problema. Il tema dell’intervista al ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov su Rete4 – nel corso del talk show Zona Bianca – è sicuramente stato analizzato da ogni tipo di prospettiva. In tanti hanno criticato la trasmissione Mediaset per il fatto stesso di aver dato spazio alle parole di un esponente di spicco del governo russo, una delle persone più influenti tra i collaboratori di Vladimir Putin, in un momento in cui è in corso una guerra feroce in Ucraina. La questione, tuttavia, se analizzata da questo punto di vista, è mal posta. La voce di un ministro degli Esteri è importante da ascoltare. Il tema è, al massimo, come si sceglie di far ascoltare questa voce.



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Intervista a Lavrov, giusto farla?

Parliamo di gerarchia della notizia. Il ministro degli Esteri è una fonte istituzionale e ufficiale. Impossibile non tenerne conto, a maggior ragione se – per quanto riguarda i media occidentali – le notizie che arrivano dalla Russia sono solitamente filtrate proprio dall’imbuto della propaganda. Un’intervista può, anzi dovrebbe, rappresentare l’occasione per andare oltre la propaganda, oltre il contenuto di una semplice velina che arrivi dal Cremlino. È fuori discussione il fatto che un giornalista – avendo questa possibilità – ci rinunci. 



A livello di gerarchia della notizia, quindi, abbiamo esplicitato il concetto. Resta ora da capire come condurre l’intervista. Sicuramente, avere un interlocutore di questo peso in una trasmissione presuppone un confronto preparatorio (lavoro che, solitamente, viene svolto dai portavoce). Chiaro che i portavoce (questo avviene anche per le figure istituzionali italiane, sia chiaro) cerchino di mediare, evitando argomenti scomodi. È il giornalista, a quel punto, che deve capire cosa quell’intervista potrà aggiungere, cosa potrà dare in più – rispetto alle famose veline e alla famosa propaganda di Mosca, nella fattispecie – al lettore o al telespettatore.

Per far questo, può percorrere sia la strada della domanda calzante, sia quella del chiedere conto (o, nella migliore delle ipotesi, del debunking in diretta) di affermazioni che, nel momento stesso dell’intervista, sembrino esagerate o volutamente provocatorie (come lo era, ad esempio, la famosa frase su Volodymyr Zelensky ebreo e il paragone con Adolf Hitler, ripresa da tutti i media internazionali).



È stato qui il problema dell’intervista a Lavrov: la mancanza, forse imprescindibile per una sua presenza in trasmissione, del contraddittorio. Qualcuno, a questo proposito, cita il modello CNN: la giornalista Christiane Amanpour, intervistando il portavoce di Putin Dmitri Peskov, non ha rinunciato al suo stile incalzante, alle sue domande, al suo ritmo. In quel caso, nessuno ha pensato che si trattasse semplicemente di una amplificazione alla propaganda di Mosca.