Il MoVimento 5 Stelle e la proposta sull’aborto

Secondo l’ultima relazione ministeriale sull’applicazione della legge 194, la media nazionale dei ginecologi obiettori di coscienza è del 70%. La realtà sembra essere anche peggiore, e il servizio di interruzione volontaria di gravidanza non è garantito come dovrebbe.

ARTICOLO 9 – Eppure la legge del 1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, stabilisce che il servizio di IVG deve essere garantito. Non dicendo come, la legge lascia spazio a interpretazioni diverse, pur essendo abbastanza chiaro quanto stabilito nell’articolo 9: “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.

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RIMEDI? – Nel giugno scorso sono state presentate diverse mozioni. Pochi giorni fa, alcuni senatori del Movimento 5 Stelle hanno firmato un disegno di legge per modificare l’articolo 9, quello che regola l’obiezione di coscienza. Si ricordano alcuni numeri – “Percentuali superiori all’80% tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,2% in Basilicata, 83,9% in Campania, 85,7% in Molise, 80,6% in Sicilia, come pure a Bolzano con l’81%” – e si sottolineano le conseguenze: “L’aumento degli obiettori di coscienza, le lunghe liste d’attesa negli ospedali pubblici, sta mettendo a rischio il diritto delle donne di interrompere la gravidanza nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge n. 194 del 1978”. La proposta è “numerica”, cioè si vuole stabilire un tetto massimo per l’obiezione di coscienza: “deve essere garantito che almeno il 70 per cento del personale in servizio di cui al comma 1 sia non obiettore di coscienza”.

CONFLITTI – Prima di analizzare la possibilità di introdurre un tetto massimo di obiettori al 30%, è utile rilevare come il conflitto tra l’obiezione di coscienza e il servizio IVG rimanga intatto. Diversamente dall’obiezione di coscienza originaria (il primo esempio che viene in mente è l’obiezione all’obbligo di leva), in questo caso il presunto diritto da parte del personale sanitario di essere esonerato da un servizio sanitario entra direttamente in conflitto con la richiesta della donna di interrompere la gravidanza. È uno “scontro” tra richieste di singoli, e non tra un singolo e una legge generale. Se il ragazzo che aveva ricevuto la cartolina, insomma, non rischiava di entrare in collisione con qualcun altro, nel caso dell’interruzione di gravidanza il ginecologo che invoca l’obiezione di coscienza si trova – metaforicamente e a volte letteralmente – davanti a un’altra persona che chiede un servizio. Complice anche un’interpretazione disinvolta dell’articolo 9, l’obiezione di coscienza in materia di IVG somiglia, sempre più spesso, all’omissione di servizio.

194 – Il paragone con l’obiezione alla leva, spesso invocato a sostegno automatico di quella all’IVG, è impreciso per altre ragioni. La 194 non prevede alcun servizio alternativo, com’era il servizio alternativo a quello armato. La 194 interviene in un contesto determinato da una libera scelta: si sceglie di fare una certa professione nel servizio sanitario pubblico, la cartolina ti arrivava senza alcuna possibilità di scegliere. Infine, stiamo parlando di un dominio professionale e non personale. Non sono in discussione la libertà di coscienza e le nostre credenze personali, ma il nostro profilo pubblico. Profilo delineato da una nostra scelta. È curioso come la legge sembri attribuire una coscienza solo agli operatori sanitari e ai ricercatori nel caso della sperimentazione animale (legge 413 del 1993). Ma perché un giudice o un avvocato non dovrebbero avere la stessa possibilità? Perché un avvocato d’ufficio non può rifiutarsi di difendere un assassino o uno stupratore? E perché un chirurgo non può negare un intervento seguendo le proprie idee politiche?

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35 ANNI FA – Quanto detto vale naturalmente per oggi, a 35 anni dalla 194. Allora gli operatori sanitari avevano scelto in assenza di una legge che permettesse di ricorrere all’interruzione di gravidanza e, dunque, di eseguirla. In più, il “compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza” (articolo 9) pone qualche domanda sulla legittimità di invocare l’obiezione di coscienza da parte degli anestesisti e di tutti gli altri operatori che non siano i ginecologi – cioè coloro che eseguono quelle “procedure e attività”. Il disegno di legge dei 5 Stelle non mette in discussione tutto ciò: “diritto dei medici e degli operatori sanitari di esercitare l’obiezione di coscienza” si legge, oppure: “Ferma restando la salvaguardia della legittima scelta di obiezione” e “Nel presente disegno di legge l’obiezione di coscienza viene quindi confermata”. Potrebbe essere una decisione strategica, basata sulla consapevolezza dell’impossibilità attuale di affrontare un discorso del genere. La parola d’ordine è “moratoria” e considerando le ultime leggi o proposte di legge in materia di diritti civili – quelli ribattezzati “temi eticamente sensibili” – non si può che essere d’accordo sulla prudenza. C’è però il rischio che non si colga la contraddittorietà di affermare la legittimità dell’obiezione di coscienza così definita.

TETTO MASSIMO – Come stabilire un tetto massimo? Come regolarsi rispetto a una scelta che abbiamo definito legittima e che dobbiamo regolamentare? Il criterio numerico appare subito più complicato del previsto. Immaginiamo una struttura X con 100 ginecologi. I primi 30 che invocano l’obiezione riceveranno l’autorizzazione, dal trentunesimo in poi la risposta sarà: “ci dispiace, siete già in troppi”. Se abbiamo riconosciuto l’esenzione da alcune procedure come un diritto, siamo convinti che il criterio temporale sia quello più corretto per tracciare confini? Se io arrivo dopo di te per una questione cronologica, è giusto che io non possa far valere la tua stessa richiesta?

LIMITE COSTITUZONALE – Ma c’è un problema che potrebbe essere ben più rilevante. Secondo Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’Associazione Luca Coscioni http://www.associazionelucacoscioni.it, nel ddl 5 Stelle ci sarebbe un problema “formale” che si rivela essere sostanziale. Facciamo un passo indietro: “La giurisprudenza evidenzia come sia già possibile intervenire quando, a causa delle alte percentuali di obiettori, la garanzia del servizio è a rischio. Le aziende sanitarie e le Regioni possono fare concorsi dedicati, per esempio. Quello che è successo in Puglia, sebbene riguardasse i consultori e non i reparti IVG, è indicativo”. Gallo si riferisce a una delibera regionale del 2010 che proponeva il 50% di obiettori e il 50% di non obiettori. In quel caso il TAR ha rigettato la possibilità di concorsi con un tetto massimo, perché nei consultori non si eseguono interruzioni di gravidanza, e dunque la possibilità stessa di ricorrere all’obiezione non deve essere presa in considerazione. “Le motivazioni però – continua Gallo – dicono chiaramente, rifacendosi anche alla legge nazionale sullo statuto dei lavoratori, che nulla toglie che si possano fare concorsi dedicati se parliamo di IVG. Il ddl 5 Stelle mira invece a modificare l’articolo 9 della legge 194, una legge che è costituzionalmente blindata. È una legge che è stata sottoposta per intero al vaglio costituzionale, c’è stato anche un referendum, e quando la Corte costituzionale interviene non si può modificare un testo normativo”.

 

POSSIBILI SOLUZIONI – I rimedi dovrebbero passare attraverso un atto vincolante, come un decreto ministeriale o le linee guida, senza toccare la legge 194. “Che poi basterebbe che la legge fosse applicata bene dalle Regioni e dalle aziende sanitarie. Queste ultime non devono interrompere un servizio sanitario pubblico. Se io tengo chiusa una camera operatoria perché nessun anestesista è disposto a eseguire interventi chirurgici, sto violando i diritti dei cittadini perché interrompo un servizio. Vale lo stesso discorso per l’IVG. Non garantire l’IVG significa interrompere un servizio sanitario pubblico garantito da una legge”. In questa situazione in cui l’applicazione completa della legge è sospesa, qual è il compito del legislatore? “Quello di intervenire. Il governo e il ministro della salute, che ha la funzione di garantire la salute pubblica, dovrebbero intervenire tempestivamente: il tempo è un fattore cruciale, devi poter abortire quel giorno, non dopo una settimana o un mese. Non convocando un tavolo di lavoro, ma emanando un’ordinanza, un decreto ministeriale o legislativo affinché le Regioni e le aziende sanitarie controllino l’applicazione della legge. Sono previsti ispezioni e controlli sulle altre specialità, perché non accade sull’interruzione volontaria di gravidanza?”.

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INVITO A COLLABORARE – “Io farei un invito al Movimento 5 Stelle – conclude Gallo. Come Associazione Coscioni siamo disponibili a collaborare, insieme agli esperti che lavorano da anni sulla disapplicazione delle legge 194, sulla necessità di fare una indagine sugli aborti clandestini, sull’importanza di avere un registro degli obiettori. Penso di poter parlare anche a nome di associazioni come la Laiga e l’Aied: collaboriamo per trovare le soluzioni migliori, formulando proposte realmente attuabili. Se questo ddl andrà in discussione, ho il timore che sarà bloccato sul nascere da quell’organismo del parlamento che controlla la validità e la corrispondenza dei ddl alla carta costituzionale”.

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