I limiti e i rischi della Telemedicina tra burocrazia e AI

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Burocrazia che pesa troppo e machine learning non propriamente gestito: i limiti e i rischi da scongiurare nel campo della telemedicina ce li ha raccontati Antonio Vittorino Gaddi, presidente S.I.T.

Il primo e più grande rischio, quando si tratta di Telemedicina, è quello di impiegare la tecnologia in campo medico non avendo sufficienti competenze dal punto di vista sanitario: «La telemedicina ha più rischi della medicina. Nel campo dei grandi apparecchi biomedicali e nel campo dei farmaci ci sono dietro imprese di tutto il mondo controllate fortemente dagli Stati e che devono avere precise direzioni scientifiche, mediche e regolatrici. Nel campo della telemedicina ci sono molte imprese, piccole e grandi, che non hanno skill mediche e scientifiche ma solo skill economiche e commerciali, ergo non riescono a interagire bene con l’ambiente sanitario. C’è una difficoltà oggettiva e noi proviamo ad aiutarle a migliorare nel settore sanitario perché sono loro che faranno le app e le intelligenze artificiali». Queste considerazioni le ha consegnate a Giornalettismo il presidente della Società Italiana di Telemedicina, Antonio Vittorino Gaddi, con cui abbiamo parlato di limiti e rischi Telemedicina.



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Tra i limiti e rischi di Telemedicina c’è la burocrazia

Al di là dei limiti lato paziente, l’intervista che abbiamo fatto al presidente della Società Italiana di Telemedicina ci ha permesso di inquadrare anche i grandi limiti dal lato legislativo e dal lato tecnologico. Limiti che – come ha sottolineato Antonio Vittorino Gaddi – devono essere tenuti sempre ben presenti per evitare di creare danni.



«Al di là di tutto, ricordiamoci che siamo in Italia. In che senso? C’è sempre un certo livello di complessità burocratica con cui fare i conti, qualche decreto. A questo livello ci siamo sempre stati, non è che lo scopriamo adesso, e c’è complessità anche nell’interazione con le Regioni, coloro che attuano, applicano e usano i fondi del PNRR per la digitalizzazione. Lì siamo deboli».

Cosa vuol dire a livello pratico? «Ogni singolo passaggio che permette di avere un risultato sul singolo paziente si basa su ciò che il medico e il personale sanitario decidono, attuandolo immediatamente», afferma Gaddi nell’ottica di chi vuole fare una critica costruttiva e inquadrare quelli che sono i problemi di tutti i giorni per coloro che lavorano con la Telemedicina. Si deve partire, innanzitutto, con meccanismo – dallo SPID ai Fascicoli Sanitari – che funzioni in maniera efficiente nel quotidiano. «Il rischio, se i sistemi non funzionano correttamente, è quello di perdere tempo invece di guadagnarlo perdendosi nei meandri della burocrazia».



Si dovrebbe puntare, in sostanza, su una semplificazione della burocrazia dando vita a un impianto generale più snello: «L’impianto generale dello stato, grazie anche alla complessità dell’interazione tra Stato e Regione, comporta una burocrazia pesante che è proprio la quintessenza di ciò che si oppone alla Telemedicina, che dovrebbe essere snella, rapida e funzionale in tempi rapidissimi». Un aspetto – la burocrazia – che, a detta di Gaddi, andrebbe «abolito totalmente».

Il limite del machine learning nella sanità

C’è poi la questione della forza potentissima della Telemedicina – così come la definisce il dottor Gaddi – che va «incanalata e regolamentata bene, altrimenti c’è il rischio di risultati peggiorativi: abusi, danni al paziente perché l’infermiere è stato indotto in errore oppure gli è stato chiesto – dal computer – di prendere una decisione che non può prendere o, ancora, perché il paziente sbaglia nell’interpretare oppure semplicemente perché l’algoritmo che c’è dentro non è ben funzionante».

Parlando di machine learning e intelligenza artificiale il presidente S.I.T è molto critico: «Tutti si riempiono la bocca rispetto a queste tematiche ma, se non c’è sostanza, i rischi sono molti. I soldi del PNRR spingono tutti – anche i più sprovveduti – a sperimentare in queste cose. La singola ASL – continua Gaddi – che propone, coi server che ha in cantina, di fare del machine learning perché il singolo dottore o il singolo direttore generale si è inventato una regola: è una cosa folle».

«La telemedicina ha un altissimo livello di tecnologia e di complessità e deve essere ben provato che funzioni. Il machine learning che funziona così bene per Amazon, per Google, per alcune imprese – considerato anche che ci sono algoritmi semplici che potrebbe scrivere un bambino e algoritmo complessi frutto di moltissimo lavoro – lo fa nove volte su dieci e, in questi casi, va bene», spiega Gaddi.

«Al Cern di Ginevra creano, per i loro esperimenti, hanno creato sistemi di data computing non indifferenti ma per farli ci hanno messo un potenziale di cinque o sei anni di lavoro, di centinaia di esperti mondiali. Niente a che vedere, ovviamente, con quello che può fare il singolo di una ASL in due mesi. Ora, così facendo sono stati messi a punto sistemi in grado di identificare ciò che c’è in una foto nel 90% dei casi».

«Il punto è: se faccio esperimenti industriali, imprenditoriali, di investimenti, di ricerche aiutato da questi sistemi e nel 90% dei casi ci prendo, è una cosa potentissima. Ma se devo decidere se lei vive o no – fa giustamente presente il presidente – e ci prendo solo nel 90% dei casi, non è proprio il caso di attuarlo. Sbagliare la cura al 10% non può esistere e questo si fa ancora fatica a capirlo».

Alla fine dei conti, quindi, gli enormi limiti – come li inquadra Gaddi – dipendono dal atto di «trasferire modelli di machine learning giusti per automotive, imprese, vendere su Amazon, profilare a capo della salute, su malati reali. Un’azione incosciente e sia magistratura italiana che Europa sono allarmati e l’UE sta dettando leggi su cosa si può fare e cosa non si può fare, su dove si può sbagliare».