Google prova a bruciare Facebook e Twitter sulle fake news (ma non ce la farà senza i giornalisti)

C’è una clamorosa indiscrezione che arriva direttamente dal World Economic Forum di Davos. A riportarla è il portale statunitense Quartz. Nessuna conferma ufficiale, per il momento, soltanto autorevoli voci di corridoio. Google starebbe preparando un grande piano d’intervento contro le fake news, tale da anticipare anche Facebook e Twitter. L’idea è questa: istruire gli utenti della possibile falistà di una notizia prima che questi ultimi la condividano sui social network.

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GOOGLE FAKE NEWS, L’INDISCREZIONE

Il progetto sarebbe stato discusso da Google e dal suo partner Alphabet, tra le nevi svizzere. Contattato da Quartz, l’azienda del motore di ricerca più famoso al mondo non ha commentato l’indiscrezione. Ma ci sono una serie di indizi che andrebbero in questa direzione. Come la riflessione di Alphabet stessa che, nella sua relazione annuale di questa settimana, ha definito un rischio i «contenuti discutibili e fuorvianti» per le performance finanziarie della società.

GOOGLE FAKE NEWS, LE PROBLEMATICHE

Ci sono due ostacoli a questa operazione. Il primo è rappresentato dal fatto che molti contenuti sono veicolati sui social network a partire dalle app, indipendentemente da un primo passaggio sul motore di ricerca. Il filtro di Google alle fake news, infatti, funzionerebbe soltanto se si arriva agli articoli di bufale a partire dalla sua pagina iniziale. Inoltre, dare l’etichetta di fake news a una notizia, in maniera perversa, potrebbe mettere in moto il meccanismo opposto, ovvero avviare una sua condivisione ancor più capillare (un po’ come successo per la bandierina rossa sperimentata e subito bocciata da Facebook).

L’altro ostacolo è che nessun algoritmo, nessuna intelligenza artificiale può distinguere cosa è fake news e cosa no. Per questo motivo, Google dovrebbe aver bisogno di una squadra di giornalisti e di esperti della comunicazione che monitori la mole incredibile di informazioni che passano attraverso il motore di ricerca. «Non si può usare nessun protocollo e nessun algoritmo – ha detto il professor Timothy Snyder, docente di storia a Yale -: c’è bisogno di un essere umano che si prenda la responsabilità di quello che fa».

Un po’ quello che sta facendo la startup News Guard, che ha investito 6 milioni di dollari per assumere giornalisti che possano verificare, o quello che stanno facendo all’Università di Santa Clara che monitora il lavoro che c’è dietro la costruzione di una notizia. Google potrebbe a breve prendere spunto da questi progetti per avviare la propria policy anti-fake news. Che, a quanto pare, non può fare a meno degli esseri umani con una specifica sensibilità per individuare le bufale.

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