Perché Google sta bloccando alcune pubblicità non sue sui siti web?

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Una scelta di metodo, che tuttavia interviene pesantemente nelle scelte editoriali

Facciamo un esempio. Avete affidato il vostro giardino a un giardiniere in gamba e alla moda, che cura i giardini di tutte le case del vostro quartiere. Tuttavia, nell’accordo che avete fatto, vi siete riservati di curare voi i vostri balconi. Cosa succederebbe se, ben oltre il principio dell’accordo, il giardiniere intervenisse e buttasse tutte le piantine che stavate annaffiando sul vostro balcone? Ecco, la metafora – più o meno – può essere la stessa. Google blocca pubblicità sui siti di news sulle quali non avrebbe alcun titolo. Il motivo? Tecnico: da agosto, il motore di ricerca ha annunciato che su Chrome alcune pubblicità – ritenute troppo invasive – non saranno supportate. Si tratta di quelle che appesantiscono la navigazione, che la rendono più lenta, magari anche più difficoltosa.



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Google blocca pubblicità, l’episodio del NY Times

Ma la domanda è: se un giornale vende un’inserzione a un cliente, sarà pur libero di utilizzare il formato che preferisce e fargli il prezzo che ritiene opportuno per quel formato? Il 2 dicembre, un lettore del NY Times – un lettore speciale, in realtà, poiché si trattava del suo ex giornalista Aaron Pilhofer – ha segnalato la disfunzione messa a referto su Twitter del banner pubblicitario principale della testata, quello che compare sopra la scritta NY Times.



Questo tweet è stato il punto di partenza di un articolo del Nieman Journalism Lab che si interrogava sulla liceità di questo comportamento da parte di Google. È vero che il colosso di Mountain View aveva messo nero su bianco le sue regole, ma è pur vero che – così facendo – ha imposto una scelta a chi, normalmente, faceva quel mestiere lì, ovvero le concessionarie di pubblicità che supportano i giornali, in modo tale che questi possano continuare a fare informazione.

Il venir meno di questa premessa è ovvio: se Google – anche attraverso regole trasparenti e pubbliche – decide cosa può andare sui siti web di notizie e cosa no, ambisce a diventare il concessionario unico della pubblicità e – di conseguenza – a influenzare in questo modo le scelte editoriali. Siamo disposti ad accettare questo compromesso?