La scintilla di Gabriele Parpiglia: «Così stiamo smuovendo le acque per riportare a casa i ragazzi di Orlando»

Una storia di emergenza nell’emergenza. È quanto successo ai duecento ragazzi italiani rimasti bloccati a Orlando. Stavano portando avanti un progetto che aveva garantito loro un anno di lavoro a Disney World. La classica occasione della vita. Poi, il coronavirus li ha sorpresi. Nel bel mezzo del lockdown il loro programma di lavoro si è interrotto con la Disney che, contestualmente, li ha invitati a tornare a casa, chiedendo loro di abbandonare gli alloggi dedicati. La loro storia è arrivata in Italia correndo, prima ancora che attraverso i classici mezzi di informazione, attraverso il tam tam dei social network. E Gabriele Parpiglia, giornalista e autore tv che ha molta influenza grazie ai suoi canali, ha giocato un ruolo chiave nel far emergere questa vicenda.

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Gabriele Parpiglia e il ruolo nella vicenda dei ragazzi italiani rimasti a Orlando

Giornalettismo si è messo in contatto con lui per capire da dove sia partita la scintilla che lo ha spinto a interessarsi della questione dei duecento italiani rimasti a Orlando: «Era da qualche giorno – ci dice – che ricevevo mail o messaggi da parte dei ragazzi. Ma volevo capire la situazione. Poi c’è stato un messaggio di una madre e da quel momento mi sono chiesto se potevo fare qualcosa. Ecco la scintilla. In questo periodo ogni “virgola” rischia di diventare un “libro”. Ma bisogna scegliere con cura le parole e storie da affrontare e raccontare. Successivamente ci siamo ritrovati in diretta su Instagram ed è partito il caos “positivo”».

Storie particolari, che assumono ognuna una propria sfumatura in questo periodo di emergenza da coronavirus. Difficile scegliere quella che, in questo momento, ha colpito di più Gabriele Parpiglia: «Nel caso dei ragazzi di Orlando sono state tutte le parole che sono arrivate da chi in realtà stava qui in Italia – ha raccontato -. Una mamma mi ha scritto di notte: dormo con la tuta e la valigia accanto al letto sperando che il telefono squilli e io possa andare a prendere mia figlia in qualche aeroporto. Per il resto ogni storia mi ha “devastato” all’ interno di questa vicenda. Molte le ho raccolte e raccontate nel documentario “Covid_19” – “L’amore fa rumore”. La storia di Noemi, il primo caso covid a Londra, una nostra italiana, lasciata per cinque ore in un’ambulanza e poi rispedita a casa. O la storia di Elena dottoressa di Bari che in un giorno a Madrid ha visto spegnersi sette vite tra le sue braccia. O la storia di una “chimica” Carmen a Parigi rifugiata in 17 metri quadrati di casa che cerca persone e sguardi dalla finestra che non arrivano e si fa compagnia con la sua piantina Ella e la freddezza dei francesi. O la storia di Alessandro che ha i genitori sordomuti e nessuno ha pensato alla gravità di chi dovrà vivere con la mascherina avendo questo problema. Lui mi ha raccontato la storia d’amore per i suoi genitori. Lo Stato che li ha mollati, insomma…potrei continuare per ore. E Cinzia che grazie al caos che abbiamo smosso ha avuto l’attenzione giusta per gli asili di cui  tutti e ripeto tutti se ne sono dimenticati. Ripeto: potrei continuare per ore…».

Come Gabriele Parpiglia ha vissuto l’esperienza dei ragazzi rimasti a Orlando

La storia di Orlando ha avuto un suo risvolto che sembra essere positivo. Giornalettismo, nel corso della giornata di ieri, è venuto a conoscenza da fonti della Farnesina che un aereo della compagnia NEOS sarà pronto a breve per riportare i ragazzi in Italia: «La situazione è la seguente. I ragazzi erano stati avvertiti in modo blando che sarebbe potuto succedere il caos. Alcuni, quelli più svegli o impauriti, sono partiti subito. Gli altri no. Ricordiamo che l’America come la Francia, la Spagna e l’Inghilterra si è svegliata tardi sul problema. I duecento hanno scelto di fermarsi “credendo” che fosse un virus, un’influenza che colpiva solo gli anziani, come del resto hanno detto a noi in Italia all’inizio. E che tutto sarebbe tornato come prima. Successivamente, l’ondata ha colpito l’America ed è scattato il lookdown. L’agenzia che ha la gestione contrattuale degli italiani a Orlando, in breve, ha comunicato loro che avrebbero dovuto lasciare le abitazioni il 17 di aprile, li ha liquidati e ciaone. In quel momento è scattato il panico generale e anche loro hanno capito che non era più una semplice “influenza” ed è subentrata la paura. Il resto è stata una diretta Instagram insieme dal mio canale, con loro che sono intervenuti live. L’idea di spedire mail alla Farnesina (ne sono arrivate un numero spropositato) e poi… le telefonate che hanno smosso il tutto. Vita salvate, sogni e lavori persi. Ma questa è una tragedia mondiale con le sue conseguenze».

In un periodo come questo, il ruolo degli operatori della comunicazione può essere importante, purché sia tarato sulle competenze di ciascuno. La vicenda di Orlando e la cassa di risonanza fornita da Gabriele Parpiglia insegnano qualcosa: «Non dobbiamo parlare di argomenti di cui non si è a conoscenza come i vaccini, le cure: sono cose che spettano a esperti del settore. Non pubblicare mai immagini di persone decedute per il covid o per situazioni collaterali. Lo devono fare gli organi preposti. Noi possiamo informare, abbracciare cause che si possono affrontare e portare avanti, ma bisogna esserne sicuri; e infondere speranza attraverso storie di persone comuni – speciali. Per me gli altri possono cantare, ballare, danzare. Ma il mondo è cambiato. Il divertimento tornerà quando ci sarà un altro tempo…per divertirsi».

E alla fine di tutta questa storia non poteva mancare una promessa ai ragazzi di Orlando: «Su Wup sento molti di loro. Siamo rimasti d’accordo che quando torneranno in Italia, gli racconterò quello che è successo…fino a quando non ho saputo che tutto si era sistemato. Storie da film , mi creda…a lieto fine però. Di una cosa sono certo: far rumore serve, eccome se serve. Ma bisogna saperlo fare».

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