Quel che resta della Leosini. Maledette storie, dalla TV

Eccola pronta e ganza la signora delle cronaca nera, nerissima, quasi pece. Interviste lontano dai fatti, che hanno fatto uno stile, un’impronta, un marchio di fabbrica giornalistico. Quando le onde impetuose e drammatiche si sono placate, e si stempera l’eco del turbine di flash, interviste, caccia alle notizie, foto e video , magistrati attori, carabinieri figuranti impacciati, vicini che dicono quasi sempre quello che i giornalisti mettono loro in bocca, e infine di opinionisti con rapporto coordinato e continuativo con i talk show… Ecco che entra in scena nostra signora della redenzione.

I “loci” leosiniani sono sempre quello delle carceri, in penombra, a dare il senso anche fisico e figurato che “le luci” sono ormai un ricordo lontano e si possa ragionare, possibilmente, su un oggetto ormai freddo e pietrificato dal tempo, dalle sentenze e dalla memoria. Una materia fredda che la Leosini cerca poi di riscaldare e rendere appetibile con un suo stile singolare: un approccio graduale, sottovoce, colloquiale, che cerca di tendere verso i colpevoli una sorta di scala cordata malagevole e instabile cui aggrapparsi per risalire la china di una reputazione distrutta, dell’ignominia e dell’abominio per recuperare un barlume di umanità che, ecco la tesi portante, sempre si deve concedere e riconoscere anche nella bruttura, anche nelle scelte più contro-natura, negli errori più drammatici e nello sprezzo della vita altrui.

Ed eccolo l’ appunto alla Leosini, se vogliamo, alla nuova serie: un tempo Leosini ci offriva un caso dimenticato se non addirittura ignorato dai mass media,un caso “ freddo” e spoglio come cadavere appena rinvenuto dal gelo dell’obitorio, sezionato per la prima volta dalla nostra espertissima giornalista-medico-patologo con l’intento di cogliere quando e dove era trapassata a peggior vita l’umanità del reo, come “il male” lo aveva precipitato in una spirale delittuosa senza ritorno, qual’era stato il colpo di grazia alla sua coscienza del bene. Ecco, diciamo che la Leosini faceva dell’ottimo giornalismo psico-necroscopico, se mi passate il termine, forense e giudiziario.

Ma nei casi di Avetrana o in quello di Meredith e negli altri, quel cadavere è stato inquinato, trasposto, trasfigurato, sezionato in mille parti dalla TV, si presenta alla nostra vista ormai pregiudicato, irriconoscibile, senza più nemmeno sembianze umane. Persino l’immagine che i criminali hanno di sé è stata, si avverte, fortemente rimaneggiata dal riflesso negli specchi deformanti della tv, tanto che il gioco, forse, non funziona più così bene. E non distinguiamo più dove l’audience sia frutto dell’ennesimo strascico voyeuristico su un caso reso morboso e auto-celebrativo, o davvero opera della magistrale mano della indagatrice Leosini. Peccato.

(Liberi Pensatori è lo spazio rubrica che Giornalettismo fornisce ai suoi lettori. Questo contributo è stato inviato dal nostro lettore Claudio Guarino. Per contattarci o inviarci i vostri pensieri scrivete a liberipensatori@giornalettismo.com)

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