Parla la figlia del clochard bruciato vivo a Palermo: «Mio padre era buono, chi l’ha bruciato è un mostro»

12/03/2017 di Redazione

«Mio padre era buono, cantava con noi. Chi l’ha bruciato è un mostro. Neanche la mafia uccide così». La figlia diciassettenne di Marcello Cimino,

il clochard ucciso da Giuseppe Pecoraro perché geloso della moglie, si sfoga così al Corriere della Sera.

«L’abbiamo visto anche pochi giorni fa. Non ci diceva che dormiva in strada. Raccontava che lo ospitavano degli amici. Tante volte
abbiamo provato a farlo tornare a casa, ma non voleva più».

Il Corriere della Sera è andato a trovare le tre donne della vita di Cimino, la primogenita, poi la sorellina che compirà 16 anni il prossimo 21

marzo e l’ex moglie del signor Cimino, Jolanda Gallidoro, che da tre anni aveva deciso di non avere più contatti con lui e aveva portato le figlie a vivere in una nuova casa.

Però non è vero che il sentimento era finito: «Da qualche tempo si era preso il vizio — piange Jolanda —. Cattive compagnie lo avevano portato a drogarsi e io ho fatto di tutto per aiutarlo a smettere. Poi, però, mi sono arresa e l’ho lasciato.
Perché Marcello a quel punto era cambiato, non era più l’uomo scherzoso, solare, buono che conoscevo, era diventato distaccato, quasi menefreghista. E io non reggevo più».
Non era più il Marcello di una volta, l’uomo dai mille mestieri, fontaniere, idraulico, muratore, meccanico, sempre gentile e disponibile con tutti, supertifoso della Juve, ballerino per hobby e pescatore a tempo perso alla Cala di Sant’Erasmo.
Un uomo innamoratissimo delle sue figlie con cui cantava — lo ricorda ora la primogenita tra i singhiozzi — i pezzi forti di Gianni Celeste,
esponente del neomelodico. E la sua preferita era «Ciao ciao».

(Un’immagine di Marcello Cimino, il clochard di 45 anni bruciato vivo mentre dormiva sotto un portico all’interno della missione San Francesco in piazza Cappuccini a Palermo, 11 marzo 2017. ANSA)

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