«La mia pagina da 1,6 milioni di follower penalizzata dalle false segnalazioni di violazione di copyright»
Un utente ci ha contattato per raccontarci quel che è successo a una pagina che gestisce. Una storia che non riguarda solo lui e che ha coinvolto anche molte altre persone
31/05/2024 di Enzo Boldi
Quella che stiamo per raccontare è una vicenda molto delicata e che affronteremo – per il momento – solamente dal punto di vista delle responsabilità di Facebook. Parliamo di come le false segnalazioni di violazione del copyright sulle piattaforme di Meta abbiano penalizzato pagine con migliaia (in alcuni casi milioni) di follower. E l’azienda di Mark Zuckerberg appare impotente (ma sarebbe meglio dire “disinteressata”) alle criticità del sistema automatizzato che (non) controlla queste richieste di rimozione di contenuti per presunto mancato rispetto della tutela del diritto d’autore.
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Un nostro lettore ci ha contattato per raccontarci quel che gli sta accadendo da qualche settimana, quando una delle pagine che gestisce (nel tempo libero, essendo occupato in altro) è finita nel mirino di questo “gioco perverso” fatto di false segnalazioni violazione copyright Meta. Secondo la sua ricostruzione, tutto è partito dopo un evento ben preciso – che non affronteremo in questo approfondimento, ma che tratteremo in seguito -, con quella pagina pesantemente penalizzata (con tanto di oscuramento per diversi giorni) da richieste di rimozione di contenuti proveniente da account falsi creati con e-mail false utilizzando nomi di utenti che hanno un discreto seguito su Facebook, con la stessa Facebook che ha avallato queste pretese senza alcuna verifica sulla veridicità del richiedente.
False segnalazioni violazione copyright Meta, la denuncia
«Da un anno a questa parte, sto dando una mano ad alcune pagine Facebook. La principale ha 1,6 milioni di follower e cn questa abbiamo realizzato diverse iniziative benefiche». La base di utenti, dunque, è importante. Ogni giorno, i contenuti pubblicati vengono visualizzati, condivisi e commentati (comprese le reaction) da migliaia di utenti. Come ovvio – seguendo le dinamiche social – ci sono anche degli accordi commerciali con dei siti per ospitare alcuni loro contenuti. Ed è questo uno degli elementi da tenere in conto nel prosieguo di questa storia.
Un giorno quella pagina ha iniziato a perdere “visibilità”. L’engagement rate è drasticamente calato, senza un reale motivo. Poi, la “rivelazione”: «Tra il 20 febbraio e il 2 di aprile mi arrivano tre segnalazioni per violazione del diritto d’autore. All’inizio mi sono spaventato, ma quando ti arriva una segnalazione di questo tipo Meta ti dice che puoi contattare via mail la persona che l’ha effettuata. Immediatamente mi sono precipitato a chiedere scusa, contattando la pagina/profilo Facebook a cui apparteneva una frase che avevo condiviso (citandola). E qui la sorpresa: quella persona mi ha detto di non aver mai effettuato una segnalazione di quel tipo. Anzi, ha detto di esser molto felice che un suo contenuto sia stato condiviso». Ecco un estratto della loro conversazione.
La mail a cui si fa riferimento era “intestata” a un nome simile – ma al maschile – della persona proprietaria della pagina Facebook che – in realtà – non aveva fatto alcuna segnalazione. La persona che ci ha raccontato questa storia ha provato più volte a contattare – come indicato da Meta – quel contatto mail, senza mai ottenere risposta. Dunque, la conversazione con quella che può essere definita la vittima di un furto d’identità social viene inviata anche a Facebook per far capire come il loro sistema automatizzato di (non) controllo delle segnalazioni abbia commesso un errore. Ma non succede niente. A ogni ricorso – perché parliamo di decine di segnalazioni contro quella pagina nel giro di pochi giorni – la risposta della piattaforma è sempre la stessa:
«In seguito al suo ricorso, abbiamo nuovamente esaminato i contenuti in questione. A seguito del nostro controllo, riteniamo ancora che i contenuti violino i diritti di proprietà intellettuale di chi ha inviato la segnalazione e non siamo in grado di ripristinarli. Se continua a non ritenere opportuna la rimozione dei contenuti in questione da Facebook, può contattare direttamente la parte che ha presentato la segnalazione per risolvere il problema».
Facebook, dunque, fa spallucce. Anzi, se ne lava le mani. Nonostante le evidenze, nonostante il segnalatore non sia il titolare della pagina che (non) ha subìto una violazione del diritto d’autore. E, alla fine, il 2 aprile quella pagina da 1,6 milioni di follower viene chiusa (temporaneamente) da Facebook: «Comincio a mandare ricorsi su ricorsi, perché i “nomi” e le mail di chi aveva effettuate queste segnalazioni contro la pagina che gestisco erano molti. Li ho contattati singolarmente e tutti mi hanno risposto allo stesso modo: “non abbiamo inviato alcuna contestazione a Facebook per violazione del diritto d’autore”».
Un dolo coordinato che ha coinvolto anche altri
Dalle indagini svolte dal nostro lettore, in collaborazione con un’altra persona esperta delle dinamiche social-editoriali, è emerso un vero e proprio schema: quelle e-mail false erano state utilizzate anche contro altre pagine da decine e centinaia di migliaia di follower. Almeno sei “profili” sono stati colpiti da questo “attacco”, con Facebook che non ha effettuato alcun controllo. Anzi, ha penalizzato e chiuso (almeno temporaneamente) quelle pagine vittime delle false segnalazioni violazione copyright Meta.
Tutta colpa di un’automatizzazione del sistema di controllo che, in realtà, non controlla nulla. Per fare un esempio: se domani una persone vuole fare un torto a una pagina social, può creare un profilo fake con una e-mail fake e iniziare a fare segnalazioni di questo tipo. Facebook e Instagram abboccano e non verificano, provocando danni irreparabili alle pagine. In attesa che arrivi il suono della sveglia a Menlo Park, il nostro utente propone una soluzione: «Basterebbe una verifica con documento d’identità per evitare di incappare in segnalazioni fake e prendere provvedimenti di questo tipo». Una verifica “umana”, senza passare dall’occhio guercio di un algoritmo sghembo. Ovviamente non parliamo di un’iscrizione ai social attraverso la consegna dei propri documenti, ma di un’integrazione da richiedere quando si inoltrano “denunce” di questo tipo.