Come Facebook ha assecondato le richieste della Turchia di silenziare la pagina dell’YPG

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La richiesta è arrivata nel 2018, quando l'esercito turco realizzò l'operazione militare di Afrin

Anno 2018. Sotto il nome rassicurante di operazione “Ramoscello d’Ulivo”, le forze dell’esercito turco invasero la città di Afrin, con l’obiettivo di colpire il partito curdo in Siria e il suo braccio armato, lo YPG, l’unità di protezione popolare. Non importa se quello stesso gruppo di combattenti era stato cruciale, negli anni precedenti, nella lotta contro l’Isis. Il governo di Recep Tayyp Erdogan aveva bisogno di indicarli come nemici, presentandosi a sua volta come vero baluardo contro lo stato islamico. In questo contesto, dal governo turco arrivò una richiesta a Facebook: oscurare immediatamente la pagina dello YPG che, in quel periodo, diffondeva materiali che denunciavano la brutalità della missione turca nei territori di Afrin. Una richiesta che, a quanto pare, Facebook assecondò.



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Facebook e YPG, la decisione del board

Sempre nel 2018, infatti, una mail arrivò direttamente ai vertici del social network. Il sito non profit di giornalismo investigativo Pro Publica ha avuto modo di accedere a quello scambio di mail che aveva coinvolto Sheryl Sandberg, numero due di Facebook. La richiesta era specifica: bloccare i post dello YPG sulla piattaforma. E pensare che, un tempo, le milizie dello YPG avevano addirittura un profilo verificato, contrassegnato dall’iconica spunta blu.



Da quel momento in poi, si sviluppò una discussione interna tra i vertici della società di Menlo Park che, alla fine, decise di assecondare la richiesta del governo turco. L’obiettivo di Facebook era uno solo: evitare di perdere, come in passato, l’utenza della Turchia, un segmento di pubblico molto vasto, che evidentemente la società riteneva strategico. La discussione che si sviluppò ai piani alti di Facebook non ruotava intorno al diritto di parola che doveva comunque essere garantito allo YPG: fu, secondo Pro Publica, una questione di mero interesse aziendale. Il peso del pubblico turco, evidentemente, valeva un blocco della pagina dello YPG, nonostante quest’ultima fosse utilizzata per denunciare violazioni di diritti umani nei giorni di Afrin.

La risposta di Facebook

Ancora oggi, per quanto riguarda il territorio nazionale turco, la pagina dello YPG risulta inaccessibile. È possibile visionarla, invece, se l’accesso avviene da una VPN di un altro stato del mondo. Già, perché la decisione di Facebook fu proprio questa: limitare la diffusione dei contenuti in maniera geolocalizzata, impedendo dunque agli utenti turchi di poter visionare i contenuti diffusi dallo YPG. Una sorta di compromesso che, tuttavia, andò a discapito della causa curda. Pro Publica è riuscita a ottenere anche una dichiarazione di un portavoce di Facebook, Andy Stone, che ha chiaramente confermato la storia:



«Noi cerchiamo di garantire ai massimi livelli la libertà d’espressione – si afferma nella dichiarazione -. Tuttavia, a volte limitiamo i contenuti in base alle leggi locali, anche se non violano gli standard della nostra comunità. In questo caso, abbiamo preso la decisione in base alle nostre politiche relative alle richieste del governo di limitare i contenuti e ai nostri impegni internazionali sui diritti umani».

In seguito al polverone sollevato, lo YPG ha denunciato ciò che chiama la “censura di Facebook”, trovando sponda anche in un rappresentante del Senato degli Stati Uniti, Ron Wyden, da sempre molto critico nei confronti della società di Mark Zuckerberg: «È inaccettabile – dice – che le società americane antepongano i propri profitti alla difesa dei diritti umani universali».