Proposta di fact checking su Renzi che dice che il regime saudita è «baluardo contro il terrorismo islamico»

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L'intervista al Corriere della Sera sarebbe dovuta andare diversamente

L’incontro tra Matteo Renzi e Mohammed bin Salman in Arabia Saudita continua a creare lunghe discussioni in merito ai contenuti che sono stati analizzati all’interno del suo intervento e per i commenti che sono stati fatti successivamente da avversari e alleati politici dell’ex premier. Nel corso dell’intervista al Corriere della Sera di oggi, inoltre, il leader di Italia Viva si è lasciato andare a una lunga dichiarazione favorevole all’Arabia Saudita, descritta come «baluardo contro l’estremismo islamico». In un altro passaggio, viene sottolineato: «è grazie a Riyadh che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi». Insomma, l’estremismo in Arabia Saudita è stato assolutamente riletto da questa affermazione da parte di Matteo Renzi, nei confronti della quale non è stato obiettato nulla da parte dell’intervistatrice.



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Estremismo in Arabia Saudita, le parole di Renzi

Ma da dove parte questa convinzione così radicata da parte di Matteo Renzi? Possibile che l’ex premier faccia riferimento a delle dichiarazioni che si possono attribuire direttamente a Mohammed bin Salman, una volta nominato principe ereditario: «Assicureremo che i giovani sauditi vivano in armonia con il resto del mondo. Sradicheremo l’estremismo molto presto». Le parole risalgono al 2017.



La situazione del terrorismo islamico in Arabia Saudita, tuttavia, è abbastanza evidente. Per lungo tempo il territorio, nei suoi confini meridionali, è stato culla di al-Qaeda, mentre nelle zone limitrofe con i confini settentrionali è proliferato il fenomeno dell’Isis. Tra il 2015 e il 2017 il territorio dell’Arabia Saudita, inoltre, è stato martoriato da 60 attentati di natura terroristica. E il fatto che nel 2017 sia stata varata una nuova legge di sicurezza nazionale, presentata come un inasprimento delle norme contro il terrorismo islamico, non significa che questo testo abbia avuto effetti decisivi: anzi, l’osservatorio per i diritti umani aveva messo in guardia proprio dalle restrizioni contenute al suo interno, fin troppo censorie nei confronti di manifestazioni di dissenso di natura pacifica e poco impattanti – almeno rispetto allo status quo – rispetto alle forme di terrorismo. Un effetto di questa legge, inoltre, è il fatto che le donne attiviste che combattono per gli (scarsissimi) diritti nel Paese siano considerate alla stessa stregua di alcune categorie di terroristi pericolosi per la sicurezza nazionale.

Pro e contro del regime Saudita contro il terrorismo

Indubbiamente, a livello internazionale, l’Arabia Saudita ha fatto alcuni passi avanti rispetto al contrasto al terrorismo: è un membro del Middle East and North Africa Financial Action Task Force (FATF) e i suoi servizi segreti (SAFIU) collaborano con altri gruppi di intelligence del pianeta. Ma non dobbiamo dimenticare che questo tentativo di riequilibrio rappresenta una sorta di compensazione per i fortissimi sospetti legati alla diplomazia saudita nell’evento spartiacque per eccellenza nell’ambito del terrorismo islamico a livello internazionale, ovvero l’attentato alle Torri Gemelle (e sul resto del territorio americano) dell’11 settembre 2001.



A questo proposito, nel mese di maggio 2020 è stata data notizia di un rapporto segreto dell’FBI risalente al 2012 e che citava due diplomatici sauditi entrati in contatto con i dirottatori degli aerei dell’11 settembre. La notizia, partita dal giornalista investigativo Michael Isikoff, ha avuto ampia cassa di risonanza sullo scacchiere internazionale.

Si tratta di episodi che riguardano il passato e che, al momento, stanno subendo un tentativo di pulizia da parte dell’attuale regime, le cui iniziative anti-terrorismo (rientra in questa fattispecie la creazione del Mohammed Bin Nayef Counseling and Care Center di Riyadh, una sorta di centro di “disintossicazione” dal terrorismo, soprattutto per coloro i quali agivano via internet), ma che non hanno impedito all’Unione Europea, nel 2019, di inserire – nonostante le vibranti proteste del regime saudita e la successiva azione di lobbyng soprattutto della Francia – l’Arabia Saudita in una lista provvisoria di 23 Paesi sospettati di aver avuto un ruolo nel riciclaggio di denaro per il finanziamento del terrorismo.

Il caso del giornalista Jamal Kashoggi, del suo assassinio in Turchia e l’individuazione di una serie di presunte responsabilità in capo al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, è storia altrettanto recente.

Una posizione quantomeno ambigua, insomma, distante dal poter essere definita “baluardo” contro l’estremismo islamico.