La Camera ha approvato le dimissioni di Enrico Letta

«Abbandono il mio ruolo di Parlamentare , ma non abbandono la passione per la politica». Non poteva che cominciare così il discorso di Enrico Letta con il quale chiesto ai suoi colleghi deputati di accettare le sue dimissioni da Montecitorio. E la Camera lo ha accontentato, accettandole con 287 si.

Dopo un surreale pomeriggio passato a discutere di ben 133 ordini del giorno, alle 19 i riflettori, dopo vari slittamenti, si accendono su Enrico Letta, presidente del Consiglio che ha dovuto lasciare il posto a Matteo Renzi. Per l’occasione a presiedere l’Aula è arrivata Laura Boldrini e ha fatto il suo ingresso pure l’ex segretario dem Pier Luigi Bersani, di cui Letta è stato vicesegretario. E amico.

Aula quasi piena: totalmente a sinistra, con tutto il gruppo parlamentare democratico pronto a rendere omaggio ad uno dei suoi fondatori, mentre l’ala destra dell’Aula, dove ci sono i banchi di Forza Italia è praticamente vuota. Come vuoto è il banco del governo. Nessun ministro è presente. Per il predecessore di Renzi non c’è quel dovuto “rispetto istituzionale“, che sarebbe stato lecito aspettarsi.

Al termine del discorso, in cui Letta ribadisce il suo impegno per la formazione politica, è tutto il gruppo parlamentare del Pd ad alzarsi in piedi per rendere omaggio ad Enrico Letta, mentre inizia una fila “bipartisan” per stringere la mano all’ex presidente del Consiglio.

La discussione scorre serena, tra le frecciate di Brunetta a Matteo Renzi, reo di non essere presente in Aula, all’omaggio di Arturo Scotto di SeL, fino all’intervento, fuori luogo per tono e contenuti, di Alessandro Di Battista. Più che parlare delle dimissioni di Letta, si è esibito un improbabile numero retorico per chiedere chiarimenti sulle dimissioni dell’ex presidente del Consiglio, tirando in ballo pure Napolitano. Non soltanto l’ex presidente della Repubblica Giorgio, ma anche il figlio. Il tutto in un duello verbale con la presidentessa Boldrini, pronta a richiamarlo ad ogni accenno di offesa verso chiunque.

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Enrico Letta e Matteo Renzi. Il gelo al momento della simbolica cerimonia del campanello dopo il cambio a Palazzo Chigi

ENRICO LETTA LASCIA IL PARLAMENTO –

Il suo passo indietro l’ex premier lo aveva annunciato già lo scorso 19 aprile, nel salotto di Fabio Fazio a “Che tempo che fa“. «Lascio il Parlamento: mi hanno proposto di guidare la scuola di Affari Internazionali di Sciences Po di Parigi». Un annuncio al quale era seguita la precisazione:«Non lascio il partito, né auspico scissioni. Né lascio la politica: perché dalla politica non ci si dimette». Quasi un avvertimento a Renzi, il premier e rivale che lo aveva esautorato e sostituito a Palazzo Chigi, con una staffetta mai digerita, nonostante le rassicurazioni con tanto di hashtag “#Enricostaisereno“. Non si farà da parte, Letta. Un messaggio ripetuto al momento della consegna della lettera di rinuncia all’incarico alla terza carica dello Stato, la presidente Laura Boldrini: «Parigi per me è un rilancio. Non è una resa, non starò zitto, dirò la mia».

Non a caso si era “vendicato” di Renzi non votando la fiducia – insieme a Bersani e altri 36 della minoranza dem – al governo sull’Italicum, ribattezzato come “parente stretto del Porcellum“.  E con continue accuse al segretario dem e primo ministro: «Renzi vincerà questa battaglia perché ha la maggioranza del Pd, ma lo farà sulle macerie perché l’opposizione resterà fuori. Non mi sembra una grande vittoria», spiegò prima del passaggio decisivo sulla legge elettorale. Senza dimenticare le critiche sul fronte europeo, nel corso di un’intervista all’Espresso, nei giorni decisivi dell’accordo tra Grecia e creditori internazionali: «L’Italia dovrebbe fare sentire la propria voce più decisamente, perché se l’Europa salta a perderci siamo soprattutto noi». O le perplessità sul ruolo giocato dal nostro Paese, in un’altra intervista al Mattino: «Governo assente? L’unico che ha giocato una partita positiva è stato Hollande riuscendo a limitare i danni ed evitando l’uscita della Grecia dall’Euro, oltre ad obbligare la Germania a un comportamento più cooperativo».

IL GELO CON RENZI E LE INTERCETTAZIONI –

Ma il grande gelo tra Renzi e Letta, diversi mesi dopo l’avvicendamento forzato a Palazzo Chigi, è tornato attuale dopo la pubblicazione sul Fatto Quotidiano delle intercettazioni risalenti all’11 gennaio 2014 (un mese prima del cambio di governo, ndr) tra l’allora sindaco di Firenze e segretario dem e il comandante della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, indagato (poi archiviato) nell’inchiesta sulla Cpl Concordia. Uno scambio di battute nel quale si rivelavano le strategie politiche dell’attuale presidente del Consiglio, tra ambizioni di governo e contatti con Berlusconi già in stato avanzato («sarebbe sensibile a fare un ragionamento diverso», diceva). Ma non solo. Nel colloquio Renzi giudicava in modo tutt’altro che lusinghiero l’ex premier: «Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace.E quindi… però l’alternativa è governarlo da fuori…». 

Enrico Letta

Frasi che hanno scatenato, una volta rese pubbliche, nuove polemiche. E il commento amaro di Letta: «Si commentano da sole». Al suo posto entrerà ora a Montecitorio Beatrice Brignone, la prima dei non eletti del Pd nel collegio delle Marche. Civatiana e critica anche lei sulla riforma costituzionale e sull’Italicum (e non solo), ha già lasciato il Nazareno per seguire lo stesso Civati nel progetto di Possibile. E comunicato al neocapogruppo PD alla Camera, il guardiano dell’ortodossia renziana Ettore Rosato, che non entrerà nel gruppo dem.

Per l’ex presidente del Consiglio Letta, invece, si aprirà un nuovo capitolo in Francia. Ma è chiaro che l’attenzione verso le vicende interne del Pd e di casa nostra sarà tutt’altro che dimenticata. Niente “resa”, intanto. Domani, chissà.

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