Inventò le emoticons inclusive e le presentò ad Apple. Dopo pochi mesi erano gratis sugli iPhone

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Katrina Parrott di iDiversicons si è lanciata in una battaglia legale contro il colosso di Cupertino

Come molti nuovi ritrovati della comunicazione digitale, anche le emoticons inclusive nascevano da un’esigenza concreta e molto sentita nella vita quotidiana: il fatto di permettere a una ragazzina di comunicare in maniera più libera con i propri amici, utilizzando delle emoticons che potessero essere più rispondenti al colore della propria pelle. Una prassi che, da anni ormai, percepiamo come normale, dal momento che, sui nostri smartphone, emoticons del genere fanno parte degli elenchi free dai quali si può attingere per scrivere messaggi. Eppure, l’idea originaria è partita da una fonte specifica, Katrina Parrott, una donna che aveva lanciato il suo progetto iDiversicons proprio per rispondere all’esigenza della figlia.



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Emoticons inclusive, la storia di Katrina Parrott

L’idea era talmente piaciuta che lei, ex ingegnera della Nasa, docente e imprenditrice, era stata invitata da Apple a Cupertino per parlare del proprio progetto. Era il 2013 e il colosso della mela l’aveva incoraggiata ad andare avanti con il suo progetto. Che, come tutti gli altri, hanno bisogno di investimenti e di altre forme di finanziamento per andare avanti e prendere vita. Katrina Parrott si decise a mettere sul piatto 200mila dollari che, tuttavia, erano destinati a non trovare risposte. Qualche mese dopo la presentazione a Cupertino, infatti, Apple aggiornò le proprie emoticons aggiungendo anche quelle inclusive. Non una riproduzione fedele dei disegni della Parrott, ma il concetto di fondo sicuramente era lo stesso.



Da quel momento in poi, l’obiettivo dell’ex ingegnere della Nasa è stato quello di portare avanti la propria battaglia legale per costringere Apple a riconoscere il plagio. «La donna che stava cercando di migliorare l’inclusione viene esclusa» – ha detto l’avvocato texano, Todd Patterson, che segue la causa per violazione del copyright. In un’intervista al Washington Post, Katrina Parrott ha spiegato tutto: le sue intenzioni, il desiderio di giustizia, la consapevolezza di dover affrontare un procedimento molto lungo. Non proprio uno scivolo tranquillo verso una vittoria sicura.

La storia e la causa giudiziaria

Apple si difenderà con le unghie in tribunale. La sua strategia sarà quella di basarsi su un assunto molto chiaro: «Il copyright non protegge l’idea di applicare cinque diverse tonalità della pelle alle emoji perché le idee non sono soggette a copyright». Dunque, se la forma grafica è diversa – stando al parere legale di Apple – Cupertino non avrebbe commesso alcun illecito, visto che si sarebbe limitato a far propria un’idea altrui. La storia di Katrina Parrott è stata raccontata anche in un documentario (The Emoji Story) che è stato reso pubblico negli Stati Uniti: prima del lancio di Apple, la sua applicazione consisteva in 300 emoji, registrate regolarmente all’U.S. Copyright Office.



Inoltre, c’erano anche dei brevetti a tutelarla. Una volta messa in vendita sull’Apple Store, l’applicazione stava crescendo, con il ritmo di una vera e propria start-up. Inevitabilmente, quando Apple ha messo in produzione le sue emoticons inclusive gratuitamente, il business ha subito una severa battuta d’arresto. Guarda caso, qualche mese dopo che Katrina Parrott avesse sottoposto, in una riunione alla Apple, una stampa della sua proposta e un flash drive con i suoi disegni emoji.