Oltre due milioni in fuga dal Sud: l’emigrazione che la politica non vede

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Secondo L'Associazione per lo sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno oltre due milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno dal 2000

Sono da numeri da vera e propria migrazione epocale, anche se non guadagnano i titoli dei tg e sono largamente ignorati dalla politica italiana. Eppure i dati del nuovo rapporto dello Svimez (L’Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) non lasciano scampo.  Il Sud del nostro Paese si sta endemicamente spopolando, una dinamica certamente presente dall’Unità d’Italia in poi, ma che negli ultimi venti anni e con i morsi della Crisi, ha assunto una dinamica allarmante. Dal 2000 circa 2 milioni di persone hanno abbandonato il Mezzogiorno: un milione di queste sono giovani. La nuova migrazione riguarda molti laureati, e più in generale giovani, con elevati livelli di istruzione, molti dei quali non tornano più. Le destinazioni? Per molti l’estero, ma per molti altri anche il Centro-Nord. Oltre il 68% dei cittadini italiani che nel 2017 ha lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, aveva almeno un titolo di studio di secondo livello: il diploma superiore il 37,1% e la laurea il 30,1%.



La consistente perdita dei giovani laureati interessa tutte le regioni del Mezzogiorno e assume un rilevo maggiore in Basilicata e in Abruzzo, con quote che toccano rispettivamente il 33,9% e il 35,0%. Nelle altre regioni del Mezzogiorno la quota dei laureati che si trasferisce al Centro-Nord supera sempre il 30% con l’eccezione della Campania (29,1%) e della Sardegna (28%). E per il futuro lo scenario potrebbe complicarsi ulteriormente: secondo il rapporto, nel corso dei prossimi 50 anni il Sud perderà 5 milioni di residenti,  a fronte di un Centro-Nord che conterrà le perdite a 1,5 milioni.

Lavoro e reddito di cittadinanza: la radiografia di una frattura profonda

«E’ la radiografia di una frattura profonda, trascurata in decenni di disinvestimento pubblico nel Mezzogiorno che hanno prodotto, con la sofferenza sociale e l’arretramento produttivo nell’area, un indebolimento dell’Italia nello scenario europeo e la rottura dell’equilibrio demografico. Con l’Italia che si e’ fermata nei primi mesi del 2019, oggi la Svimez conferma quanto temevo poche settimane fa al mio insediamento, l’eredita’ pesante di un Sud entrato in recessione». commenta il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano.



Ma il nodo indicato dal rapporto sembra essere sempre lo stesso: la mancanza endemica di lavoro di qualità. Una tendenza sulla quale nemmeno l’introduzione del Reddito di Cittadinanza sembra influire in modo considerevole. Per lo Svimez il Reddito di Cittadinanza sembra «stia allontanando dal mercato del lavoro anziché richiamare persone in cerca di occupazione e l’introduzione di  centri per l’impiego e i navigator non sembra al momento aver modificato la tendenza.», in quanto «il trasferimento monetario spiazza il lavoro perché tende ad alzare il salario di riserva e, di conseguenza, disincentiva il beneficiario ad accettare posti precari, occasionali, a tempo parziale».

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E lo Svimez propone di «uscire dalla logica del sussidio monetario e rendere il RdC una parte di un progetto più ampio di inclusione sociale. Le risorse disponibili per il reddito di cittadinanza potrebbero finanziare, infatti, un sistema integrato di servizi per le fasce più deboli della popolazione, attraverso interventi mirati per contrastare l’abbandono scolastico, integrare i servizi socio-sanitari (asili nido, strutture socio-assistenziali per anziani) oggi carenti, rafforzare le politiche attive del lavoro, migliorando cosi’ la qualità della vita delle fasce più fragili della popolazione e attivando, al tempo stesso, anche attraverso il mondo della cooperazione, occasioni di lavoro».

Un’osservazione che però sembra riportare alla premessa: l’assenza di lavoro non sottopagato e precario, l’unica possibilità per permettere a giovani e meno giovani di riprendersi il presente.