Perché il delirio di gelosia è diverso dal movente passionale

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Il delirio di gelosia di Gozzini è patologia psichiatrica ma ciò non toglie un uso sbagliato delle indagini sull'imputabilità in casi simili

Nella giornata di ieri si è diffusa la notizia di Antonio Gozzini assolto per l’omicidio della moglie Cristina Maioli e la sentenza parlava di “delirio di gelosia”. In particolare si evidenzia che «nel corso delle indagini preliminari i consulenti del pubblico ministero della difesa hanno concluso concordemente, sostenendo che la patologia delirante di cui era ed è tuttora portatore Gozzini escludeva ed esclude in radice la capacità di intendere e volere con specifico riferimento al fatto commesso». In seguito ai titoli di giornale che parlavano di assoluzione per “delirio di gelosia” sui social è montata la polemica e nella giornata di oggi alcune associazioni si donne – compresa Non una di Meno Brescia – hanno manifestato per protesta davanti al tribunale di Brescia.



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Bonadefe chiede chiarimenti in seguito alle polemiche social

In seguito alle polemiche social – e presumibilmente non avendo letto la sentenza che parla dell’infermità mentale – il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha fatto domanda di accertamenti sul caso all’Ispettorato. Tramite una nota il tribunale ordinario di Brescia ha fatto presente che «appare necessario anche ai fini di una corretta informazione, in attesa della stesura della motivazione della sentenza, tenere doverosamente distinti i profili del movente di gelosia, dal delirio di gelosia, quale situazione patologica da cui consegue una radicale disconnessione dalla realtà, tale da comportare uno stato di infermità che esclude, in ragione elementare principio di civiltà giuridica, l’imputabilità».



Cos’è il delirio di gelosia e qual è la differenza con il movente di gelosia

Nella sentenza viene quindi spiegata la differenza tra delirio di gelosia – «disturbo del pensiero consistente nella convinzione di essere tradito», scrive il Dizionario della Salute del Corriere -, che viene classificato come patologia nei manuali di psichiatria. Fabio Roia, presidente vicario del tribunale di Milano, ha sollevato con Ansa una serie di questioni. La prima riguarda l’informazione in casi del genere, tanto delicati per i temi trattati agli occhi dell’opinione pubblica: vista «la recente decisione della Corte di Assise di Brescia che sostanzialmente non punisce un ennesimo femminicidio» e che «desta non poche perplessità» portando alla creazione di «una sensazione frustrante e forse un messaggio poco corretto» la proposta è quella di «adottare una informazione provvisoria sul ragionamento che ha portato i giudici alla decisione, metodo che viene già adottato dalla Corte Costituzionale e da quella di Cassazione e che serve molto a far capire all’opinione pubblica la risoluzione».

«Delirio di gelosia e depressione: bastano questi motivi per assolvere un femminicidio»

I gruppi di donne che hanno protestato hanno parlato di «sentenze ispirate all’ingiustizia patriarcale» nelle quali «bastano questi motivi per assolvere un femminicidio e cancellare due volte la vita di Cristina, insegnante amata, colpevole solo di avere condiviso con cura e sollecitudine la vita di un uomo violento». La procura aveva domandato l’ergastolo per Gozzini, considerando il delitto basato su una forma di gelosia non legata all’incapacità di intendere e di volere. Rispetto a ciò Roia –  a cui nel 2018 è stato assegnato l’Ambrogino d’Oro per l’impegno contro la violenza sulle donne – ha parlato di «alcune perplessità di fondo: quando c’è un femminicidio si tenta sempre di percorrere la strada dell’assenza dell’imputabilità trasformando un movente culturale (uccido perché non accetto di perdere la cosa-donna) in un delirio di follia con una pericolosa medicalizzazione del processo che tende a trasferire la decisione a consulenti di parte, come sembrerebbe in questo caso, o a periti d’ufficio». Anche in casi in cui, di fatto, prima del delitto o del reato non ci siano prove certe di un disturbo psichiatrico preesistente: «Il ricorso ad indagini sulla imputabilità dovrebbe essere visto come un fatto eccezionale e non già come una normalità del processo. Ciò avviene perché in presenza di un gesto percepito come fortemente anormale e brutale ci si aggrappa alla labile categoria della follia con conseguenze sul piano culturale e della giustizia a volte irrazionali».