Il giorno più grottesco della storia della Repubblica (e altri ne verranno, ahimè)

Possiamo partire, questa volta soltanto, da una riflessione di Carlo Calenda affidata alla manciata di caratteri di Twitter. Secondo l’ex ministro dello Sviluppo Economico, nella giornata di ieri, ci siamo trovati #anostrainsaputa (per riprendere un hashtag molto utilizzato nelle ultime ore) «in un grande Truman Show intergalattico». Perché la sensazione è esattamente quella di essere inseriti in una sorta di barattolo – o di salvadanaio – all’interno del quale ogni giorno un Grande Burattinaio inserisce una monetina destinata a sconvolgere le nostre vite già di per sé incasinate.

LEGGI ANCHE > Stiamo aspettando la denuncia di Di Maio alla procura della Repubblica

Il grande paradosso del 17 ottobre 2018

Ieri, il Grande Burattinaio – non si sa se per errore o per accanimento – ha inserito ben due gettoni, riuscendo a far scatenare il panico. Per la gioia e il godimento di chi, poi?

Parte 1: Alessandra Mussolini

Il 17 ottobre verrà ricordata come la giornata più paradossale della storia della nostra povera Repubblica, sempre più smarrita nella selva di cosa sia un valore e cosa non più. Alessandra Mussolini, nipote d’arte, annuncia la sua decisione di denunciare chi d’ora in avanti offenderà suo nonno sui social network. Riproponendo quell’assurdo assioma del fascismo degli antifascisti, nato da una frase interpretata male.

Parte 2: Di Maio, la manina e il rimprovero dei leghisti

Qualche ora dopo, il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio si presenta davanti alle telecamere di Bruno Vespa (che luogo evocativo!) per annunciare l’intenzione di denunciare (cosa che mai si verificherà) la manomissione del decreto fiscale. Quello che lui stesso aveva votato e che ora non riconosce più perché una «manina» avrebbe aggiunto un articolo relativo allo scudo fiscale per coloro che hanno i capitali all’estero: una sorta di condono per potenziali maxi-evasori, una pietra tombale sul grido ritmato onestà-onestà (che scegliamo di riportare nella formulazione senza ‘h’ iniziale).

Un decreto che, lo si apprende live, non è nemmeno arrivato al Quirinale. La nota della presidenza della Repubblica che sconfessa l’interpretazione di Di Maio, oltre a raggiungere l’inaspettato scopo di resuscitare un account Twitter (quello del Quirinale, appunto) che normalmente viaggia al ritmo di 30-40 interazioni orarie e che ieri è andato letteralmente in tilt, ha fatto esplodere l’ilarità generale.

Ci fermiamo qui. Ai sorrisi e ai sorrisetti. Quando, interrotta la spontaneità della battuta, ci viene in mente che quello a cui stiamo assistendo è il Paese reale, quello in cui i leghisti (che nell’immaginario collettivo non sono mai stati dipinti come delle volpi) accusano i colleghi di governo del M5S «di non saper leggere i decreti», quello in cui, quando la rappresentazione non regge più (perché indifendibile), ci si chiude dietro al silenzio e si spengono le dirette Facebook, quello in cui «offendere» Mussolini (il dittatore) diventa una macchia sulla memoria storica, allora ci rendiamo davvero conto che non sappiamo più chi siamo.

Il Truman Show divertirà pure il Grande Burattinaio. Ma a noi fa tremendamente paura.

Share this article