Cognitive computing, la rivoluzione dell’informatica

E se in futuro i computer fossero in grado di analizzare il flusso d’informazioni ricevuto ed, anziché ripetere quanto loro impartito, agissero autonomamente riflettendo sui dati e cercando di dare una risposta il più possibile aderente alla situazione di quello specifico momento? In realtà abbiamo già raggiunto questo punto, e forse anche superato, grazie all’innovazione garantita dal cognitive computing.

(greenbookblog.org)
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COS’É IL COGNITIVE COMPUTING – Con questa definizione illustriamo la capacità dei computer attuali (e del futuro) di poter riflettere su ciò che fanno senza più limitarsi ad eseguire un ordine impartito dall’esterno. Questo significa che un computer può già capire, verbo volutamente non inserito tra virgolette, quello che accade intorno a lui applicando le valutazioni che ritiene più opportune. Ciò significa che i computer si renderanno conto da soli delle situazioni in cui si troveranno ad operare. Ad esempio un router devierà il traffico dove c’è più banda, oppure un sistema di videosorveglianza capirà il contesto in cui dovrà attivare l’allarme.

UNA SPIEGAZIONE TECNICA – Domenico Parisi del Cnr ha spiegato nel dettaglio che cosa s’intende con scienza cognitiva e quali possono essere le sue applicazioni nell’ambito tecnologico. E non solo, visto che secondo Parisi questa definizione necessita di un approccio interdisciplinare che coinvolge varie discipline, oltre al mondo del computer, in opposizione al comportamentismo, intesa come scienza che si limita a studiare ciò che è osservabile e misurabile. Secondo Parisi esistono due tipi di scienze cognitive. La prima è computazionale, nata negli Usa sull’onda della rivoluzione cognitiva alla fine degli anni ’50 del secolo scorso. Ed è quella che associa l’attività tra mente umana e computer, proponendo un paragone tra mente e software.

(enterrasolutions.com)
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IL PROGRESSO DELLA SCIENZA – L’analogia nel funzionamento di mente e computer ha consentito alla scienza cognitiva di studiare con rigore le similitudini tra mente umana e software informatico. Gli informatici hanno dotato il computer di capacità e comportamenti tipici della mente umana creando l’intelligenza artificiale. Gli psicologi hanno invece usato i concetti dell’informatica per analizzare, modellare e spiegare la mente. Nella seconda metà degli anni ’80 la scienza cognitiva computazionale ha lasciato il campo a quella neurale, ma gli scienziati allora non sono riusciti a riprodurre il linguaggio umano ed i collegamenti mentali tipici del ragionamento in macchine che hanno sempre rappresentato il braccio della volontà degli esseri umani.

IL PROGETTO SYNAPSE – E qui sono entrate in campo le società informatiche che hanno cercato di cambiare l’architettura informatica rendendo il computer più simile a noi. Il capostipite di questa sfida è stata Ibm che nel 2011, come spiegato da Ingegneri.info, ha presentato due prototipi di chip che funzionano come il cervello umano. Il progetto SyNapse, condotto dall’azienda in collaborazione con quattro università americane e finanziato dal Pentagono con 21 milioni di dollari, aveva l’obiettivo di creare un computer che funzionasse davvero come il sistema nervoso umano, replicando il funzionamento delle sinapsi e dei neuroni usando algoritmi e circuiti al silicio per analizzare ed elaborare ogni realtà. All’epoca i prototipi di Ibm riuscivano a gestire una partita di ping-pong, ma già nel 2011 si comprese che la strada da seguire nell’ambito del cognitive computing era già segnata.

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UN PRODOTTO PER LE PMI – Nel 2013 arrivò la tecnologia Ibm Puresystem, che solo in Italia riuscì a conquistare circa 100 piccole e medie imprese. Come ha spiegato Pmi, un esempio è rappresentato dalla Moretto, con 200 dipendenti, che produce macchine per la trasformazione delle materie plastiche. L’approccio diverso garantito da PureSystem ha portato ad un dimezzamento delle complessità, della riduzione dei costi del data center del 30 per cento ed una riduzione del 20 per cento nel tempo di rilascio dei sistemi. Tutto merito di un approccio diverso che consente di superare il collo di bottiglia rappresentato dalla mancata interazione uomo-macchina, con il computer che deve elaborare dati fornitigli dall’uomo senza poterli modificare secondo i suoi bisogni.

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