Chico Forti e l’ombra del complottismo

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Dopo l'articolo sull'italiano condannato e detenuto in Florida sono arrivate alcune risposte che dimostrano di non aver capito la domanda. Rispieghiamo

Un afoso pomeriggio romano di qualche settimana fa un amico stimato mi chiese di occuparmi del caso di “Chico” Forti, un nome che in verità non mi diceva nulla. Mi spiegò che si trattava di un italiano condannato per omicidio in Florida e al centro di una vasta campagna innocentista che chiedeva la riapertura del processo sostenendo che non c’erano prove della sua colpevolezza e che – anzi – era stata dimostrata la sua innocenza e che tuttavia le istanze di appello venivano puntualmente ignorate. Infine, aggiunse che i media riportavano la versione dei fatti fornita dagli stessi innocentisti senza che risultasse alcun lavoro di verifica delle loro affermazioni.



LA RICERCA – Raccolsi l’invito e di lì a poco spesi un po’ di tempo per una ricerca online dalla quale emersero alcuni punti fermi:

1. Effettivamente in rete e sui giornali veniva diffusa una ricostruzione dei fatti sostanzialmente ritagliata da quanto raccontato sul sito innocentista Chicoforti.com, che però non forniva alcun riscontro documentale per verificare la correttezza delle affermazioni;



2. La ricostruzione era condita con una fantasiosa teoria complottista, secondo cui Enrico Forti (detto “Chico”) era stato incastrato per aver ficcato il naso nelle indagini sull’omicidio di Gianni Versace e sul connesso suicidio di Andrew Cunanan, affidate alla squadra investigativa di Miami comandata da tale Gary Schiaffo. Secondo la teoria il giudice Victoria Platzer era stato membro della squadra di Schiaffo, il pubblico ministero Reid Rubin era stato avvicinato da Schiaffo, il difensore di Forti (un certo avvocato Ira Loewy), era amico del già citato Reid Rubin, per cui i tre avrebbero agito di comune accordo;

3. La ricostruzione dei fatti illustrata sul sito innocentista era contraddittoria e illogica in più punti e non collimava nemmeno con l’unico riferimento documentale che ero riuscito a reperire (sul sito del Tribunale) e nel quale sia il nome dell’avvocato (Donald Bierman) sia il nome del giudice (Denis J. Murphy) erano diversi da quelli dichiarati;



4. Dalla trascrizione integrale di un’intervista giornalistica al padre della vittima, a uno degli investigatori e a uno dei difensori, si evince che la tesi accusatoria fu basata su una serie di argomentazioni ed elementi più ampia e meglio strutturata rispetto a quanto riferito dagli innocentisti.

LE CONCLUSIONI – Ce n’era abbastanza per concludere che le tesi innocentiste non presentavano i requisiti di attendibilità e verificabilità necessari per mettere in dubbio la correttezza della sentenza emessa dalla giuria. L’articolo che dava conto di questa conclusione è stato pubblicato il 9 luglio scorso e ad esso sono conseguite colorite reazioni molto simili a quelle tipiche dei complottisti. Nell’articolo, dopo una premessa intesa a precisare che il modello processuale americano è generalmente considerato valido ed efficiente e che pertanto le sue sentenze sono attendibili fino a prova contraria, ho illustrato i risultati della mia ricerca sulla vicenda di Chico Forti (con relativi link alle fonti) concludendo che in mancanza di riscontri documentali verificabili, le dichiarazioni degli innocentisti non bastano a mettere in discussione la sua responsabilità. Soprattutto, mancano i documenti principali, ossia gli atti processuali, circostanza che inevitabilmente richiama alla mente una tecnica utilizzata dai complottisti undicisettembrini. Questi dapprima raccontano la “verità ufficiale” e poi ne mostrano lacune, contraddizioni e falsità. Quando però si va a verificare ciò che dice veramente la “verità ufficiale”, si scopre che non dice affatto ciò che i complottisti le attribuiscono. Di qui l’invito a rendere disponibili i documenti processuali: non si può sostenere che un processo sia stato ingiusto e viziato, senza mostrare gli atti processuali contestati. I toni dell’articolo sono stati moderati, come testimonia  l’espressione di stima e comprensione per gli sforzi dei familiari e degli amici di Enrico Forti.

LE REAZIONI – Tuttavia c’è gente che da un lato rivendica il diritto di scrivere e raccontare tutto ciò che gli pare e come gli pare, dall’altro si rifiuta di riconoscere lo stesso diritto a chi esprime un pensiero diverso dal proprio. La speranza che nella vicenda di Forti avrei avuto la fortuna di incontrare interlocutori più equilibrati, è presto svanita. La prima incursione è arrivata da una certa Magda Ramazzotti con questa domanda: “Scusi mi definisce meglio il nome? John B ….sta per?”.  Su Internet c’è un sacco di gente che scrive con un nick. C’è chi si chiama Pirata, chi Coccodrillo, chi Bella Ciao, e così via. Con un nick si può  parlare di qualsiasi cosa, dalla riproduzione delle mosche in Madagascar ai Bunga Bunga, senza problemi. Ma provate a dire che gli attentati dell’11 settembre sono stati compiuti da 19 dirottatori suicidi, e state ben certi che qualcuno chiederà conto della vostra identità. Ma “John B” non è un nick, è il mio vero nome e l’iniziale del mio vero cognome e bastano 10 secondi di ricerca su Google per scoprire anche il resto. La questione è che non fa differenza se mi chiamo John Belushi o John Bianchi, perché io non referenzio mai un’affermazione con i miei titoli, qualifiche e esperienze. Questo è il primo comandamento che mi sono imposto nel debunking, per cui ciò che scrivo è sempre verificabile sulle fonti e sui riferimenti puntualmente citati o facilmente reperibili in rete. Dopo la Magda, è arrivato il sig. Claudio Giusti, apparentemente con l’unico e irrefrenabile impulso di contestare quello che lui ha definito il mio “entusiasmo” per il sistema penale americano e di  proclamare la mia ignoranza in materia. Forse Giusti, ex esponente di Amnesty International, nutre rancori personali contro l’ordinamento statunitense, ma sta di fatto che ciò che lui ha definito “entusiasmo” è l’opinione di tanti autorevoli giuristi, documentata in analisi e pubblicazioni accademiche, come quella linkata. Ciò nonostante il sig. Giusti ha prima contestato il principio della separazione delle carriere fra pubblico ministero e giudice, scrivendo che “negli Usa nulla di questo accade e la gente passa con noncuranza dai ruoli giudiziari a quelli politici e viceversa”. Se è per questo anche in Italia siamo pieni di esempi di magistrati che diventano politici ma per “separazione delle carriere” si intende una cosa del tutto diversa e gli ho citato una fonte che spiega i termini della questione.  Imperterrito, Giusti mi ha consigliato di leggere “qualche giornale americano e qualche biografia”. Poi ha aggiunto: “Il suo entusiasmo per il sistema giudiziario americano mi pare malriposto. Il 95% delle condanne viene ottenuta con il patteggiamento e il processo è un caso raro”. A me pare che un 95% di condanne con patteggiamento (Giusti non ha citato la fonte del dato) rappresenti un eccellente risultato, visto che di regola gli innocenti non patteggiano… E ancora: “Come ho detto infinite volte il sistema penale americano funziona perché non fa i processi, non fa gli appelli e non motiva le sentenze. Il testo consigliatomi, salvo alcune imperfezioni, conferma quanto vado dicendo da anni. Si legga qualche buon testo IN INGLESE”. Insomma, Giusti vuole a tutti i costi che io legga qualcosa in inglese. Giornali, biografie, testi. Ma non sono io a dire che il sistema americano funziona. Lo dicono i giuristi. Senza volerlo lo ammette anche Giusti, peraltro. Se il 95% delle condanne avviene con il patteggiamento, è pacifico che la storia si chiude lì, non serve processo, non servono appelli, non servono motivazioni. Ma tutto questo non c’entra un fico secco con il caso Forti, perché il processo a Forti c’è stato, ed è di quello che dobbiamo parlare. Ma Giusti non ha inteso ragione. Prima ha linkato un suo post  in cui parla del caso di Chico Forti in termini tutt’altro che favorevoli agli innocentisti (e noterete che Giusti ha scritto buona parte delle stesse considerazioni che ho fatto io, anche se lui non ha indicato alcuna fonte) e poi ha affermato che non era sua intenzione parlare del caso Forti. Ma allora Giusti è venuto a commentare un articolo su Forti senza intendere parlare di Forti e tuttavia linkando un suo post in cui parla di Forti, per il mero gusto di frantumare un po’ di marroni o per il bisogno di attaccare chiunque scriva del sistema processuale americano in termini diversi rispetto alla sua opinione? La risposta non mi interessa, a dire il vero, perché la ragione per cui ho tirato in ballo gliinterventi di Giusti è un’altra e la spiegherò più avanti.

IL TAM TAM – Mentre si sviluppava il botta-risposta con Giusti, su Facebook e Twitter partiva il tam-tam contro l’articolo. Un utente di FB con il nick “Chico Forti” inseriva il link all’articolo commentando: “John B….Intanto sarebbe meglio firmare per intero un articolo del genere”. Una predica davvero curiosa, visto che a farla è una persona che scrive sotto il nome di “Chico Forti” (e qualcuno dei suoi interlocutori lo ha spesso scambiato per il vero Chico Forti) ma la sua utenza Facebook è intestata a tale “Lucio Caltavituro” e usa chiamarsi “Magda”…

LA FARSA DEI DOCUMENTI PROCESSUALI- Una dei “fan”, però, ha colto il senso vero dell’articolo e ha scritto allo pseudo Chico Forti (alias Lucio Caltavituro, alias Magda). Riporto lo scambio di battute perché è davvero significativo per capire come stanno le cose:

Antonella Gaiani:

CREDO SIA PIU’ CHE GIUSTO – DALLA PARTE DELLA FAMIGLIA – PUBBLICARE TUTTA LA DOCUMENTAZIONE! Darebbe a tutti la possibilità di trarre conclusioni corrette!

 Chico Forti:

 Antonella Gaiani hai ragione comunque è sempre stato detto che chi ne vuole avere copia basta fare la richiesta.

Antonella Gaiani:

Caro Chico io credo che mettere in rete a documentazione – quindi a disposizione di tutti – sia importante soprattutto per Te, servirebbe a bloccare alcune critiche e sicuramente aiuterebbe la verità! Hai la fortuna in questo momento di avere dalla tua un magistrato di grande valore quale è Ferdinando Imposimato, il quale ha affermato che farà tutto il possibile per vederti presto libero. Un abbraccio! E Forza!

Chico Forti:

Abbiamo avvisato la famiglia ora decideranno cosa fare certo è che io (Magda) voglio sapere il nome del “signore” che ha pubblicato …almeno 🙂

Antonella Gaiani:

Non importano le ragioni che hanno spinto questo signore a scrivere quello che ha scritto, la cosa importante è trovare il modo di liberare Chico. Io ho firmato per lui fidandomi del mio intuito ma sarei felice di poter consultare gli atti del processo. Se lo avessi fatto sarei stata in grado di replicare punto su punto, e come me, tante altre persone che credono nella sua innocenza. L’unica cosa che per  ora mi sento di dire a questo signore è che la storia è piena di errori giudiziari e questo in tutte le parti del mondo!

Antonella Gaiani:

Caro Chico posso avere copia degli atti?

Chico Forti:

Roberta Bruzzone criminologa, la richiesta va fatta qui.

Dunque, si scopre che i documenti non sono online e nemmeno il sedicente Chico Forti (alias Magda) ne è in possesso, ma bisogna richiederli alla criminologa Roberta Bruzzone. Ed è proprio quello che puntualmente ha fatto Antonella Gaiani, seguendo il link alla pagina FB della criminologa, fornitogli dal finto Chico.

Antonella Gaiani:

Gentile Dott.ssa Bruzzone, ho firmato la petizione di Chico Forti sulla base del mio intuito nonchè dalla garanzia rappresentata dal nome del magistrato Imposimato e del Suo. Ho letto altresì le obiezioni che qualcuno ha sollevato sulla reale colpevolezza di Chico! E’ per questo motivo che ritengo sia utile, a me come a tutti coloro che vorranno battersi per questa causa, avere la possibilità di visionare gli atti del processo. Chico mi ha scritto che basta richiederli. Le sarei grata se volesse farmi sapere in che modo può avvenire la consultazione! Un caro saluto e un “in bocca al lupo” a tutti Voi per il lavoro nel quale siete impegnati volto alla ricerca della verità.

Roberta Bruzzone criminologa:

Metteremo a disposizione di tutti il mio report integrale e tutti gli atti a breve…così demoliremo agevolmente tutte le obiezioni sollevate da chi, evidentemente, non conosce il caso e dimostra di avere poche idee e molto confuse…

POCHE IDEE E MOLTO CONFUSE? – Vediamo allora chi è che ha “poche idee e molto confuse”. Il sedicente Chico Forti (alias Luigi Caltavituro alias Magda), paladino degli innocentisti, non ha nemmeno gli atti processuali dei quali parla e sparla. A chi obietta che la richiesta di pubblicare gli atti è cosa buona e giusta, risponde che gli atti sono sempre stati disponibili, basta chiederli. Ma quando qualcuno li chiede, ecco che bisogna rivolgersi alla criminologa Bruzzone. Una volta chiesti alla Bruzzone, questa non li fornisce ma dice che presto saranno tutti online. E sarei io ad avere le idee confuse… Alla fine della giostra, il dato di fatto è che gli atti non sono disponibili.

L’OMBRA DEL COMPLOTTISMO- Fa male la Gaiani a essere così convinta che l’appoggio di Imposimato sia una buona garanzia. Infatti si tratta dello stesso  Imposimato che si è lasciato incantare dalle teorie complottiste sull’11 settembre al punto di chiedere l’apertura di un processo internazionale contro gli Stati Uniti! La storiella del complotto su Versace e l’entrata in scena di Imposimato fanno precipitare senza tanti complimenti l’intera vicenda di Enrico Forti nel campo del puro complottismo (con tanto di segnalazione obbligatoria a Perle Complottiste), circostanza che da un lato spiega il comportamento quasi isterico degli innocentisti, dall’altro non giova affatto alla causa di Chico Forti, che rischia di esserne molto screditata.

I COMMENTI DI CRITICA – E intanto i commenti di “critica” pilotati su Facebook e su Twitter hanno continuato ad arrivare e alcuni sono davvero curiosi.

Ad esempio, Luisa Nicolussi Golo da Luserna, ha scritto: “C’è una persona in galera, prima di scrivere certe cose con tanta sicurezza, si informi e ci dia le prove di quanto dice!!! Altrimenti sono chiacchiere. Chico Forti LIBERO!!!”.

Sembra un grido di guerra dei tempi del Che. Si dà il caso che Enrico Forti è in galera per effetto di una sentenza di condanna definitiva. Le prove della sua colpevolezza sono state acquisite e valutate in un Tribunale e la sentenza ha pieno valore giuridico per cui spetta agli innocentisti fornire le prove della sua innocenza. Difatti, delle mie prove, Enrico Forti non sa che farsene, perché in galera c’è già e ci resterà anche se nessuno pubblica ulteriori prove della sua colpevolezza. Per uscire di galera servono invece prove della sua innocenza. Veda un po’, la signora Luisa, chi è che deve tirar fuori le prove.

Poi c’è Stefano Francesco Piva che tira in ballo altri casi giudiziari, compreso quello di Amanda Knox, che secondo lui sarebbe stata trattata da “cittadina di serie A” perché americana e perché gli italiani sarebbero “sudditi americani”. In verità assieme alla Knox è stato assolto anche l’italianissimo Raffaele Sollecito, ma Piva se ne scorda opportunamente. L’approccio di Piva è rivelatore del fatto che tra gli innocentisti serpeggiano sentimenti antiamericani, circostanza che fa il paio con quanto avviene nel mondo del complottismo da questa parte dell’Atlantico.

LE ALTRE ANALOGIE – Le analogie con il complottismo sono confermate dal commento di Sebastiano che sente puzza di bruciato sulla circostanza che il sito di sostegno a Chico Fortirisulta malevolo: “Una cosa c’è da dire però, ho visitato il sito di Chico decine e decine di volte in tutto questo tempo, questa è la prima volta che mi succede una cosa del genere, il sito non era mai stato infetto e infettato ma ora guarda caso contiene malware.. che strano……..”. Sta’ a vedere che l’ho infettato io, il sito di Chico..! O sarà stata la CIA? E arriviamo al 14 luglio, quando ancora lei, Magda Scoppio Ramazzotti,  scrive una mail di “protesta”, condita di insulti e attacchi personali, alla redazione di Giornalettismo. Questa mail, che l’interessata ha pubblicato anche su un blog, rappresenta uno splendido esempio dell’atteggiamento complottista e merita di essere analizzata punto per punto.

Egregio direttore Alessandro Damato, leggiamo con palese stupore un articolo firmato da un certo “John B.” pubblicato dal suo quotidiano in data 9 luglio 2012, sopratitolato “Chico Forti, il caso: come è andata veramente”. Il titolo a seguire fornisce immediatamente il “taglio” del testo: “Chico Forti, il caso e le bugie dei media italiani”, incalzato da un giudizio sommario: “La storia della morte di Dale Pike e la condanna ricevuta dall’italiano nelle prove “dimenticate” dai divulgatori di tesi preconcette”.

Dunque, la lettera non è stata indirizzata all’autore dell’articolo contestato ma al direttore di Giornalettismo. E’ il modus operandi tipico dei complottisti, ad esempio lo ha fatto anche il regista complottista Massimo Mazzucco. Scrivono a quello che a loro modo di vedere dovrebbe essere il “superiore” dell’autore dell’articolo, auspicandone la censura. Un po’ come quando i bambini gridano “adesso lo dico a mamma e papà”. Questo comportamento è indice di un sentimento di negazione dell’altrui diritto a manifestare un’opinione diversa dalla propria.

Abbiamo cercato di trovare delle informazioni riguardo a questo “John B.” e abbiamo scoperto che è “un americano per nascita e un italiano per amore”, è un sostituto commissario presso la squadra mobile di Bari e segretario provinciale del sindacato autonomo di Polizia. Cura anche una rubrica fissa su “Giornalettismo” (Doktor Debunker”) ed è autore di un “Manuale di difesa contro le  balle dei media” intitolato “BUFALE”.

Come volevasi dimostrare. Io non ho mai conosciuto Enrico Forti. Non ho mai partecipato alle indagini. Non ho fatto parte della giuria. Non sono nella condizione di poter attestare o certificare alcunché sulla vicenda. Ho solo evidenziato ciò che chiunque può trovare su Internet allargando la ricerca oltre i siti degli innocentisti. Ma stranamente per la Magda diventa essenziale sapere chi sono, qual è la mia professione, cosa faccio nella vita privata… Se qualcuno vorrà perdere qualche minuto a controllare ciò che scrisse il già citato complottista Mazzucco quando fu pubblicato un articolo nel quale mettevo in discussione la trasparenza di una sua raccolta di fondi, scoprirà che le due mail (tenuto conto dei diversicontesti) sono assolutamente identiche per approccio e metodologia.

Abbiamo anche appreso che il “nickname John B.” è identificabile con John Battista, “uno di cui i giornalisti dovrebbero aver paura”.

Complimenti per l’identificazione! Sarà stata molto difficile, visto che John B. non è un nickname e che sul Web le mie generalità sono facilmente reperibili, curriculum compreso, assieme a tutto ciò che centinaia di complottisti hanno scritto a destra e a manca nel tentativo di screditarmi e di danneggiarmi. C’è chi ha compilato dossier, chi ha cercato le mie fotografie, chi è andato a spulciare i miei interventi nei social network  (talvolta coinvolgendo malcapitati che hanno avuto l’unico torto di avere un nome simile al mio), chi ha cercato di scoprire l’indentità dei miei familiari, chi mi ha affibbiato tutti gli insulti di questo mondo (da balordo a pedofilo passando per tutte le gradazioni), chi ha scritto lettere diffamatorie a ministri e parlamentari, chi ha effettuato analisi statistiche sui miei scritti… Scusate, quindi, se quando mi firmo metto solo l’iniziale del cognome e scusate se ormai sono diventato del tutto insensibile agli insulti e agli attacchi personali. Anzi, mi sorprendo quando non ne vedo.

Questa ultima affermazione è pienamente da noi condivisa, perché bisogna proprio aver paura per lo spazio che è riuscito ad avere all’interno del vostro giornale dove può impunentemente dare esibizione della sua impreparazione, pressapochismo e ignoranza, esprimendo giudizi su un argomento a lui totalmente sconosciuto, andando a pescare informazioni qua e là, mettendo insieme un “pastrocchio” indicibile.

Allora, vediamo. Io ho citato due articoli di giornale (uno è americano ma non ditelo a Claudio Giusti, se no ci rimane male). Poi ho citato la scheda ufficiale del processo estratta dal database del tribunale (che gli innocentisti nemmeno conoscevano… a meno che preferiscano ammettere di aver volontariamente omesso di segnalarla), e infine ho trovato le interviste al padre della vittima, a uno degli investigatori che seguirono il caso e al difensore di Forti. Il grosso problema di questo“pastrocchio” è che presenta una versione dei fatti molto diversa da quella raccontata (e non documentata) sui siti innocentisti. Leggere l’altra campana non dovrebbe essere un problema, per chi ha davvero a cuore la verità. Capisco però di aver fatto qualcosa di molto irritante (a giudicare dalla sfilza di insulti), per chi ha deciso di sposare acriticamente una tesi senza aver mai verificato uno straccio di documentazione (com’è stato rivelato grazie all’inconsapevole aiuto di Antonella Gaiani).

Noi non sappiamo se questa sua iniziativa sia stata dettata dalla volontà di sbugiardare i “media” come hobby personale, oppure perché si erge a paladino in difesa della giustizia del suo Paese natale messo sotto accusa dal “caso Forti”.

VIVRANNO PER SEMPRE CON QUESTO DUBBIO-  Quando uno regala una rosa a una donna, può darsi che abbia voluto manifestarle il proprio affetto o che abbia intenzione di portarsela a letto, ma questo non cambia il fatto che si trattava di una rosa e non di un paio di scarpe. Allo stesso modo, il motivo per cui si è scritto un articolo non cambia di punto ciò che è stato scritto nell’articolo.

Nella prima ipotesi, facendo di tutta un erba un fascio, il sig. “B.” condanna “in toto” la categoria, ergendosi come unico depositario della verità divina. Il signor “B.” non prende neppure in considerazione che i media che si sono occupati del “caso Forti” prima di scrivere un rigo o fare un servizio televisivo si sono ampiamente informati su come si svolsero veramente i fatti, documentandosi minuziosamente prima di occuparsi dell’argomento.

Questo è il punto di vista della Magda. Come abbiano fatto i media a “documentarsi minuziosamente” è un mistero, visto che nemmeno i documenti del processo sono verificabili. Se poi vogliamo proprio parlare di media, anch’io ho citato i media. Solo che quelli che ho citato io raccontano una storia diversa da quella che raccontano gli innocentisti. E in ogni caso i processi non si tengono sui media, ma nelle aule di tribunale.

Cosa che non ha fatto certamente il signor “John B.”, come andremo dimostrando a seguire, limitandosi nella sua ricerca “sugli elementi rintracciabili sul web” dove “si racconta una storia diversa da quella sostenuta dagli innocentisti” e “rendono decisamente più credibile la sentenza spiegando i ripetuti dinieghi della riapertura del caso”. Su quale web il sig. “John B.” abbia fatto la sua ricerca per trovare questi “elementi” non è dato a sapere, altrimenti ci viene il fondato sospetto che non conosca la differenza tra il leggere, il capire e il dire.

E sì che nell’articolo c’erano i link

In realtà sembra che le sue informazioni le abbia tratte dal “Sun Herald” del”8 marzo 1998 e dalla “Associated Press” del 14 ottobre 1999, articoli scritti da giornalisti meno informati di lui e che proprio il sig. “B.” tanto critica per le “bufale” che i media vanno scrivendo spiegando i ripetuti dinieghi della riapertura del caso!

E’ qui che emerge la malafede tipica di chi è infettato dal virus complottista. La Magda, infatti, omette accuratamente di indicare le due fonti principali che ho linkato nel mio articolo: la scheda informativa del processo reperita sul sito Web del Tribunale e la trascrizione integrale delle interviste al padre della vittima e all’investigatore. Questa è la tipica tecnica complottista ben conosciuta a chiunque abbia esperienza nel debunking.

Nella seconda ipotesi, il sig. “B.” insinua il sospetto che i sostenitori dell’innocenza di Chico Forti mettano sotto accusa “tutta” la giustizia americana, ignorando volutamente che l’oggetto della contestazione è semplicemente l’operato di un singolo prosecutore di un singolo giudice in un singolo caso.

Davvero? Vediamo cosa scrivono gli innocentisti sul loro “sito ufficiale”:

GARY SCHIAFFO- Durante una visita alla casa galleggiante, Chico Forti un giorno trovò “casualmente” ad aspettarlo il capo della squadra investigativa di Miami, Gary Schiaffo, che aveva condotto le indagini sul caso Cunanan per conto del dipartimento criminale di Miami (…) Schiaffo per questo ebbe motivi di rancore nei confronti dell’italiano e al processo divenne uno dei principali testi dell’accusa. Dopo le dimissioni dalla polizia, Schiaffo lavorò presso il dipartimento criminale di Miami, alle dipendenze di Reid Rubin, incaricato delle indagini sull’omicidio di Dale Pike (…)

REID RUBIN – Le indagini per l’omicidio di Dale Pike vennero affidate al prosecutor Reid Rubin. Il p.m. venne informato da Schiaffo sulla persona di Chico Forti e fu messo al corrente dell’inchiesta da lui realizzata sul caso Versace/Cunanan dove venivano messe in dubbio le dichiarazioni della polizia di Miami (…) Le indagini preliminari furono affidate ai detective Catherine Carter e Confessor Gonzales che, guarda caso, facevano parte della squadra investigativa di Schiaffo. In seguito, la conduzione del processo ad Enrico Forti fu affidata alla giudice Victoria Platzer, anche lei membro della squadra di Schiaffo prima di essere nominata giudice.

IRA LOEWY – Avvocato dello studio legale incaricato della difesa di Enrico Forti. A Loewy venne contestata un’assoluta inefficienza nella difesa di Chico tale da far sospettare una collusione con l’accusa. (…) Ira Loewy, prima di professare l’avvocatura privatamente, lavora per sei anni presso la procura di Miami. Reid Rubin era quindi suo collega ed amico.

Allora, abbiamo Gary Schiaffo, già capo della squadra investigativa di Miami. Poi gli investigatori Carter e Gonzales. Poi il difensore Loewy. Poi il procuratore Rubin. Poi il giudice Platzer. Un bel complotto, non c’è che dire.

E NON FINISCE QUI – Però tutti questi cospiratori (espressamente indicati dagli innocentisti), da soli non bastano. Ci vuole qualche complice alla Polizia Scientifica e bisogna assicurarsi la piena collaborazione dell’intera giuria popolare di dodici giurati. Poi ci sono gli appelli respinti, non meno di cinque, presso altrettanti giudici: se il processo contro Forti fosse così palesemente viziato, se esistessero prove cosìevidenti della sua innocenza (come sostengono gli innocentisti) bisogna necessariamente dedurne che i giudici che hanno negato l’appello sono anch’essi parte del complotto. Il numero dei cospiratori sale parecchio. Doveva essere una vera e propria minaccia alla sicurezza nazionale, questo Chico Forti…

 Fatta questa lunga prolusione, che pensiamo sua chiara per tutti, passiamo al vaglio dei punti riportati nell’articolo, cominciando dagli “ESEMPI” citati dal sig. “John B.”

“La prospettiva del sistema processuale americano, basato sul modello accusatorio e quindi sulla parità tra accusa e difesa con terzietà del giudice, è generalmente considerato un buon sistema”.

Elementare, sig. “John B.” Ma è proprio la mancanza della parità fra accusa e difesa dell’imparzialità del giudice che è in discussione, altrimenti non saremmo qui a parlarne.

Se il sig. “B.”, prima di scrivere, si fosse informato, saprebbe che c’è stata una ricerca precisa e minuziosa da parte dei legali italiani di Chico Forti effettuata sugli atti processuali del caso, attraverso la quale si sono rilevati macroscopici vizi procedurali, nonché le regole violate e i diritti negati all’imputato Chico Forti oltre alle prove nascoste, gli indizi inventati e le prove circostanziali inesistenti (manipolate o addirittura false e comunque prive di alcun supporto forense oggettivo).

Tante belle parole. Ma per verificare cosa c’è di vero, bisogna ancora attendere che siano pubblicati gli atti processuali. La criminologa assicura che lo farà presto.Qui nessuno vuole darle fretta, ma se davvero Enrico Forti è innocente, sono già passati 13 anni da quando è finito in galera. Forse, dico forse, sarebbe il caso di darsi una mossa

Di questo rapporto hanno abbondantemente parlato i media messi sotto accusa dal sig. “John B.”, il quale non si cura affatto che queste conclusioni siano state tratte dagli atti del processo e comprovate da centinaia di documenti.

Documenti che non si possono vedere. Tutti li citano, nessuno li vede. E’ stato più facile trovare il Bosone di Higgs

Quando poi il sig. “John B.” afferma che “il processo americano, per sua natura, è basato su una procedura accusatoria e non inquisitoria” abbiamo l’impressione che non sappia nemmeno di cosa parla. Non ci sembra che lui abbia la qualifica o la competenza per affermare questo, o comunque non si è informato minimamente se si permette di dire che descrive i fatti come si sono svolti veramente.

Il fatto che il processo americano sia di tipo accusatorio è una di quelle cose che conosce bene anche uno studente di giurisprudenza al primo anno. Nell’articolo ho inserito il link a un testo universitario che spiega benissimo la questione. C’è anche questo, ad abbondare. Anche i docenti universitari e i giuristi sono inqualificati e incompetenti?

Questo “signore” non sa che la procura ha dedicato ventotto mesi alla fase inquisitoria attraverso la quale ha proposto una fantasiosa ricostruzione dei fatti basata, come detto, su indizi e circostanze inventate che hanno permesso di arrivare alla fase accusatoria.

No, effettivamente questo signore non lo sa. E non lo saprà finché qualcuno non si degnerà di esibire gli atti processuali. In compenso la Magda, pur non avendo mai visto un atto processuale (dato che sono tutti custoditi nel cassetto della criminologa), sa tutto…

Il sig. “John B.” afferma subito dopo che in un processo americano “non è facile che un innocente venga condannato e, anzi, è molto difficile che finisca anche solo processato” perché la giustizia “assicura il pieno esercizio dei diritti e delle garanzie difensive”. Ma come molto difficile sig. “B.”? E’ proprio il diritto ad un giusto processo che è stato leso. E quindi oggetto della nostra contestazione.

Poco conta quel che affermo io. Quel che conta è che i giudici chiamati a valutare i motivi di appello, non la pensano come Magda. E questo è successo non una, non due, ma almeno cinque volte. O c’è un gigantesco complotto o i motivi di appello non sono validi.

E’ proprio di questi giorni un’inchiesta del “Washington Post” che mette a nudo migliaia di incarcerazioni negli Stati Uniti senza prove certe.

Classico tentativo di imbrogliare le carte. Primo: l’inchiesta non è del Washington Post bensì è un articolo del Washington Post che illustra un’iniziativa dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia. Secondo: riguarda solo casi trattati dall’FBI (e quello di Chico Forti non risulta trattato dall’FBI). Terzo: l’FBI ha semplicemente scoperto che un particolare esame sui capelli utilizzato dai propri laboratori, non era affidabile al 100% e pertanto dovranno essere riviste le condanne basate su quel tipo di esame. Tutto questo con il caso Forti c’entra come la marmellata sulla pizza margherita.

Ed è ufficiale una commissione dell’amministrazione Obama di rivedere tutti i casi dove si evincono negligenze ed incertezze.

Buono a sapersi. Quindi perché agitarsi così tanto? Basterà scrivere alla commissione e rappresentare le ragioni per la revisione. Se il caso di Chico Forti non sarà rivisto, vuol dire che non evincono negligenze e incertezze. Semplice, no? O si teme che anche Obama faccia parte del complotto? Non sarebbe stato male, comunque, indicare un riscontro a questa notizia. C’è mai una volta, dicasi una volta, che Magda si degni di mettere almeno un link…?


Gli stessi americani finalmente ammettono che la loro “perfetta giustizia” ha mandato in carcere migliaia di innocenti!

Ogni anno in qualsiasi paese che abbia decine di milioni di persone ci sono migliaia di processi penali. Anche una percentuale di successo pari al 99% produce 10 errori giudiziari ogni mille processi. Bastano pochi anni di processi penali (anche in un sistema che ha un sistema processuale vicino alla perfezione) per produrre migliaia di errori giudiziari. Si chiama statistica e la Magda ha scoperto l’acqua calda.

Quindi la “malagiustizia” riscontrata nel caso Forti non è la sola riscontrata nei processi “ad personam” in America. Sono migliaia e migliaia. Soltanto che fino ad ora il sistema semplicemente non li riconosce e non torna sulle proprie decisione nemmeno di fronte all’evidenza.

Zzzzz….

 Ma non è questo il punto.

Meno male. L’ha capito anche lei.

Se il sig. “B.” si fosse informato un po’ più dettagliatamente, i sostenitori della causa innocentista non si fanno ricadere tutte le colpe dell’ingiusta condanna inflitta a Chico Forti a complotti degli investigatori, all’accusa o al giudice del processo, o infine alla provata disattenzione della giuria, mettendo sotto accusa tutto l’apparato di giustizia americana.

Io devo sempre informarmi più dettagliatamente, secondo la Magda. Dato che gli atti processuali non sono disponibili e dato che la Magda ignora le fonti contrarie alla propria tesi, il termine “informarsi dettagliatamente”, nel suo vocabolario, significa imparare a memoria il racconto degli innocentisti. Adesso sappiamo cosa intendeva dire la Magda quando diceva che i media (quelli innocentisti, beninteso) si erano informati minuziosamente… Comunque, per descrivere ciò che sostengono gli innocentisti, io ho utilizzato proprio ciò che hanno scritto sui siti innocentisti, ne ho anche citato i link e qua sopra ne ho riportato ampi stralci.

Nossignore!

Le maggiori responsabilità si fanno ricadere sul cattivo patrocinio del collegio difensivo (a proposito, Ira Loewy è il nome maschile dell’avvocato difensore e non una donna. Irrilevante, ma denota la totale disinformazione del sig. “B.”) che non ha saputo (meglio dire voluto) smontare le più elementari teorie accusatorie, a cominciare dal movente.

Non conoscendo personalmente Ira Loewy non posso sapere se è uomo, donna o rettiliano. Il nome Ira è sia maschile che femminile (è il diminuitivo di Irina). Il sesso di Ira, in ogni caso, non c’entra nulla. Quel che conta è che agli atti ufficiali del tribunale (non lo dico io, non lo dice il mago Zurlino, lo dice il tribunale di Miami – Dade) l’avvocato di Forti non si chiama Ira Loewy ma Donald Bierman, che è considerato ufficialmente uno dei migliori e più grandi avvocati nel campo criminale. Stranamente, anche il detective intervistato dai media americani ha detto che l’avvocato di Forti era Bierman, ossia ha detto la verità. Invece gli innocentisti, la Magda in testa, fingono di ignorare questo “piccolo” particolare e fanno sempre e solo il nome di un altro avvocato miserello e sconosciuto…

Infatti, come movente dell’omicidio è stata usata una presunta truffa che Chico Forti stava perpetrando ai danni del padre della vittima. Ma Chico in precedenza era stato prosciolto dalla stessa giudice del processo da queste accuse.

Bene. Se Magda dice il vero, così come io ho trovato la scheda del tribunale per il processo per l’omicidio, Magda potrà facilmente esibirci la scheda del processo per truffa. Il sito è uguale. Basta inserire il nome e cognome di Forti. Coraggio. Ci linki, la signora Magda, la scheda da cui risulta che c’è stato un processo e un’assoluzione. In caso contrario, si deve ritenere più verosimile quanto ha dichiarato il detective intervistato, secondo cui l’accusa di truffa fu ritirata per esigenze di speditezza processuale (negli Stati Uniti l’azione penale non è obbligatoria).

Il padre della vittima stava vendendo a Chico una struttura non più sua da tempo, e quindi era l’italiano il truffato e non il truffatore e quindi il movente era inesistente. Il difensore lo sapeva e lo sapevano anche l’accusatore e il giudice. Ma questo determinante fatto non venne mai comunicato alla giuria, fuorviandola nel suo giudizio.

E’ una fiaba avvincente. Che fiaba resta, finché qualcuno non si deciderà ad esibire i documenti che ne dimostrano la veridicità.

Il sig. “B.” scrive che “le accuse di truffa contro Enrico Forti furono ritirate per strategia processuale, al fine di non appesantire il processo con un reato secondario”. Ma stiamo scherzando? Come si permette il sig. “B.” di definire “un reato secondario” l’asse portante del movente dell’omicidio?

Sono abbastanza sicuro di ricordare di non aver affermato di mio una cosa del genere, ma di aver citato ciò ha riferito (con tanto di link) il detective intervistato. Per qualche strana ragione la Magda ha avuto un’amnesia selettiva: i riferimenti al sito del tribunale e alle interviste ai protagonisti sono stati azzerati dal suo cervello. E’ una cosa normale, è una specie di filtro psichico che agisce nella mente dei complottisti, tutt’ora oggetto di studio da parte dei debunker: elimina ogni riferimento a fatti, persone e circostanze che non si accordano con la teoria complottista.

Poi questo ineffabile sig. “B.” afferma che alla giuria era tutto perfettamente chiaro se ha impiegato soltanto novanta minuti per emettere un verdetto di colpevolezza nei confronti di Enrico Forti.

E’ sempre quel detective a dirlo, non io. Dannato filtro…

Forse non sa che prima di ritirarsi in camera di consiglio, il pubblico ministero ha avuto la possibilità di pronunciare la sua requisitoria senza che ci fosse contestazione o replica.

Allora, adesso sto zitto e faccio parlare Claudio Giusti che si definisce esperto dei processi americani ed è venuto qua per primo a fare un po’ di moina. Lui scrive“l’ordine delle arringhe finali (closing arguments) non dipende dalla testimonianza dell’accusato (che è sempre sconsigliata) e l’Accusa chiude sempre il processo, con l’arringa o il rebuttal”. Quindi il pubblico ministero, scrive l’esperto Claudio Giusti, chiude sempre il processo americano, senza replica. Ora, se non siete d’accordo, andate sul sito di Claudio Giusti e riempitelo di commenti e attacchi come avete fatto qui…

Approfittando dell’enorme vantaggio, ha rifilato ai giurati una serie di menzogne e manipolazione dei fatti per cui ha avuto gioco facile far pesare la bilancia dalla parte della colpevolezza, specialmente agli orecchi di una giuria distratta a cui evidentemente non importava un fico secco dell’imputato.

Vedi sopra. La fiaba è bella e struggente ma… dove sono attestate tutte queste cose?

Nel paragrafo dedicato alla “GIUSTIZIA” il sig. “B.” afferma che la campagna mediatica avviata dai “supporter” di Chico Forti si basa soltanto “sulle voci della difesa”! Qualcuno dica al sig. “B” che nessuno ormai si sposa più per procura e nello stesso tempo nessuno sposa più nemmeno una causa ad occhi e orecchi chiusi.

Intanto che qualcuno viene a dirmi la novella della sposa, la Magda farebbe meglio a metterla in pratica: dove sono i documenti che dimostrano ciò di cui andate cianciando? E già che ci siamo, dove si vede la “giuria distratta”?

 “Le voci della difesa”, come le definisce il sig. “B.”, non sono soltanto “voci”, ma il riscontro probatorio delle tesi accusatorie campate in aria. Il sig. “B.” ha la “piccola” pretesa che venissero pubblicati gli atti del processo. Quarantaduemila “transcript”, magari già tradotti dall’inglese all’italiano in modo che lui possa decidere se ci sono estremi ragionevolmente validi per richiedere la riapertura del processo, perché lui non si fida delle “voci” che sostengono la campagna mediatica a sostegno della tesi innocentista di Chico Forti, e quindi lo deve verificare personalmente.

La traduzione in italiano non mi serve, ma ringrazio per il pensiero. 42.000 transcript? Ma non s’era sostenuto che questo era stato un processo sommario, senza prove, ecc… ?

42MILA – Con cosa le hanno riempite 42.000 trascrizioni? A momenti nemmeno sui fatti dell’11 settembre sono state scritte tante pagine e documenti! Comunque, bando alle ciance. Io sul mio sito sull’11 settembre ho inserito decine e decine di migliaia di pagine di documenti. Non è stato difficile, la tecnologia moderna offre strumenti rapidi ed efficienti quali scanner, compressori ZIP e protocolli FTP. E poi nessuno pretende che si faccia tutto in un colpo solo. Io ci ho messo qualche mese (ma i documenti me li son dovuti cercare, anche attraverso procedure di accesso FOIA), basta iniziare.

UN DOCUMENTO – In tredici anni non hanno caricato nemmeno UN documento. Che so, almeno la requisitoria del Pubblico Ministero, giusto per iniziare. Ma a quanto pare, la verità è che nemmeno gli innocentisti hanno questi documenti e bisogna aspettare che una nota criminologa, tra un’apparizione televisiva e l’altra, si decida a metterli online. E noi aspettiamo…

Il sig. “B. conclude dicendo che se “cinque appelli posti per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie Corti senza motivazione né opinione” ci sarà una ragione: “diventa difficile pensare che gli Stati Uniti siano entrati in guerra con Chico Forti”!

Sì, ho concluso così, si chiama opinione personale, ma anche ragionamento logico. A proposito, la pensa così anche Claudio Giusti: “Le sei possibilità d’appello concesse a CF sono un’enormità per un caso non capitale, ma i punti posti all’attenzione delle varie corti: Diritti Miranda, Regola Williams, Double Jeopardy, Convenzione di Vienna, Speed Trial, Conflitto d’interessi, sono terribilmente deboli e non hanno meritato nemmeno due righe di diniego”. Oh, Claudio Giusti si qualifica come esperto, collabora all’osservatorio sulla legalità e ha contribuito a fondare Amnesty International in Italia. Mica parliamo di lenticchie, qua.

Questa teoria è addirittura demenziale da parte di chi, come il sig. “B.”, si professa paladino della verità e non nota nemmeno la evidentissima contraddizione insita nella sua assurda teoria.

Si noti ancora la forte personalizzazione e la rancorosa acredine con cui scrive la Magda. Ormai per lei il problema non è più il caso Forti, se potesse scegliere tra liberare Chico o infilarmi in un tritacarne, comincio a credere che sceglierebbe la seconda possibilità…

Il sig. “B.” lascia supporre che tutte queste Corti abbiano controllato i documenti del processo e abbiano deciso che la sentenza pronunciata è giusta. Ma non è così. Sul fascicolo “Enrico Forti” è stato scritto “closed” e nessuno ha preso in minima considerazione le prove di innocenza riportate nelle petizioni presentate, rifiutando sistematicamente di discuterle.

Ma tutto questo non possiamo verificarlo, senza le famose carte processuali…

Quindi, logicamente, se c’è un veto alla base di dimostrare gli errori difensivi commessi durante il processo, perché si dovrebbe riaprire un caso che creerebbe molti problemi all’interno del palazzo dal momento che la concessione della revisione del processo è del tutto discrezionale?

Ma sì. E’ una cosa normalissima. Cinque, sei giudici, in altrettanti momenti diversi, esaminano le carte e pensano: “Certo che questo Forti è proprio innocente, ma che scocciatura riaprire il caso, lasciamolo marcire in prigione fino alla fine dei suoi giorni…”. E’ chiaro che dev’essere andata così, come ho fatto a non capirlo? Meno male che c’è la Magda a spiegarci come vanno le cose…

Nei punti successivi citati dal sig. “B.”, “Il caso”, “Imbrogli”, “Storie” e “Ancora”, denotano una preparazione pressapochista disarmante, sia nei vuoti contenuti che nelle scarse informazioni e soprattutto nelle deduzioni partigiane che lui ne trae.

 

E certo, il partigiano sono io… Ne riportiamo alcuni:

1)                  Dale Pike non si era fatto portare al parcheggio del ristorante a Key Biscayne per incontrare “amici del padre”, ma per incontrare amici del tedesco Thomas Knott. Infatti ci sono documenti che comprovano che Dale non si era recato a Miami per discutere dell’affare dell’albergo del padre con Chico Forti, ma aveva viaggiato per incontrare Thomas Knott per motivi che non si è mai voluto accertare quali fossero.

“Ci sono documenti che comprovano”, e noi proprio quelli vorremmo vedere. Comunque la dizione “amici del padre” era una semplificazione per esigenze di sintesi testuale. La ricostruzione innocentista dice letteralmente: “[Dale] gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e avrebbe trascorso alcuni giorni con loro, in attesa dell’arrivo del padre”.

 2) Non ci sono “pecche e gravi contraddizioni” da parte di Chico Forti nella compravendita dell’hotel. L’albergatore aveva fatto preparare dei documenti falsi dal suo commercialista da presentare al notaio German Pina per la cessione della quota spagnola (5%) della proprietà dell’albergo. Per questo non si è mai costituito parte civile dopo la condanna di Enrico Forti.

Io ho indicato solo alcuni esempi delle tante pecche e contraddizioni e ho linkato le relative pagine (scritte dagli innocentisti) così ognuno è libero di verificare a prescindere da ciò che dico io o dice la Magda. Non sarà mai troppo presto quando anche gli innocentisti faranno altrettanto.

3) E’ falso affermare che Chico Forti aveva comprato l’albergo di Ibiza per $25.000. Quella somma era stata data come anticipo per la quota di proprietà spagnola (appunto il 5%) quantificabile in azioni al portatore a disposizione di Anthony Pike. L’accordo di vendita dell’albergo vero e proprio del restante 95% era un altro (falso anche quello) e aveva una scadenza il 30 giugno successivo, vale a dire sei mesi dopo l’atto notarile ufficiale stipulato presso il notaio di Ibiza. Inesistente quindi la teoria dell’accusa che Dale Pike si era recato a Miami da Chico Forti “per vedere il denaro contante e siccome l’italiano non lo aveva, ha pianificato la sua eliminazione fisica”. Una conclusione illogica e insensata che comunque ha avuto il suo peso nel giudizio della distratta giuria popolare.

Siamo sempre al punto di partenza: dove sono gli atti processuali dai quali risulta tutto questo? Come facciamo a sapere che questa ricostruzione è stata provata e non – piuttosto – semplicemente sostenuta come linea difensiva o – peggio – inventata di sana pianta?

4) Quando si pone la domanda: “Ma allora l’albergo era o non era di Pike? Non è questione da poco visto che si può parlare di truffa solo se l’albergo viene venduto da un sedicente proprietario che non è tale”. Ma, sig. “B.”, lei pensa davvero che ci si inventi le cose senza avere un riscontro probatorio?

Lo ripeto. Quello che io penso non conta. Questo non è un gioco né un salotto di discussione, si sta parlando della vita di una persona (Enrico Forti), della morte di un’altra (Dale Pike) e dei sentimenti delle rispettive famiglie. In questi casi, contano solo i fatti. La sentenza è un fatto. Tutto ciò che la Magda ha detto sinora è un racconto, è una versione dei fatti. Che piaccia o no, questa è la situazione.

Ci sono i documenti che attestano che la cessione della proprietà da parte di Anthony Pike a delle società offshore del New Jersey, è avvenuta il 16 aprile 1997, esattamente otto mesi prima che lui avesse tentato di venderlo una seconda volta a Chico Forti. Il progetto era evidente: incassare più denaro possibile prima che si scoprisse la verità. Anthony Pike agiva per conto dei veri proprietari come gestore e in questa veste promuoveva delle iniziative promozionali, tipo la celebrazione del 25° anniversario della fondazione della struttura alberghiera.

Arriverà un momento, prima o poi, in cui la Magda capirà che non basta dire “ci sono documenti che attestano” per avere ragione?


5) Il denaro sottratto da Thomas Knott ad Anthony Pike utilizzando le carte di credito non l’ha mai sborsato l’albergatore (che non aveva il becco di un quattrino) ma è stato pagato dalle assicurazioni delle banche a cui Pike denunciava lo smarrimento.

E immagino che anche in questo caso ci siano gli invisibili documenti che lo attestino… ammesso poi che la questione sia rilevante.

6) E’ falso asserire che “il giorno dopo la morte di Dale aveva lavato la macchina”, “…tentanto così di inquinare le prove…”. La macchina è stata lavata il mercoledì, come ogni settimana, quattro giorni dopo il fatto.

Il punto è che non lo asserisco io, lo asseriscono i detective nell’intervista che ho linkato.

 I granelli di sabbia ritrovati non erano nella macchina ma nel gancio di traino della stessa e furono ritrovati “casualmente”, quarantacinque giorni dopo il sequestro, da un detective che l’aveva usata senza autorizzazione portandola sulla scena del crimine. La macchina, all’epoca, aveva già subito tre ispezioni capillari e nulla era stato trovato che collegasse Chico Forti alla scena del delitto. I granelli ritrovati erano comunque comuni a tutte le sabbie del litorale di Miami.

Anche su questo, i detective raccontano una storia diversa. La loro parola vale almeno quanto quella degli innocentisti, finché non si possono visionare i documenti processuali…

7) E’ falso dire che la pistola calibro .22 usata per uccidere Dale è stata comprata “poco prima dell’omicidio”. L’arma era stata comprata dal tedesco molti mesi prima che Chico conoscesse l’albergatore e prima dell’arrivo di suo figlio a Miami. Era stata comprata per uso sportivo e solo per questo motivo Chico l’aveva pagata assieme ad altre attrezzature. All’epoca Chico pensava che Knott fosse una persona per bene e per questo motivo non aveva ritenuto pericoloso fargli questo piacere, dal momento che in quel frangente il tedesco era sprovvisto di denaro. In tutti i casi la pistola è sempre stata nella disponibilità di Knott e comunque non c’è mai stata prova che quella fosse l’arma del delitto perché non è stata mai ritrovata.

Anche l’arma del delitto di Cogne non è mai stata rinvenuta ma non sembra che questo abbia aiutato gran che la Franzoni…  Comunque, l’intera questione della pistola è stranamente sottaciuta sul sito ChicoForti.com, punto di riferimento per la tesi innocentista. Prendo atto che la Magda sostiene che è stata acquistata “molti mesi prima”, ma in mancanza dei documenti processuali il dato che emerge da tutte le fonti pro e contro è che quell’arma è stata acquistata prima dell’omicidio (giorni, mesi, settimane, su questo ognuno dice la sua), è stata acquistata con la carta di credito di Forti, non è stata ritrovata dopo l’omicidio.

8) Infine, il farneticante sig. “B.” afferma che “quando Dale giunse a Miami con l’intento di capire cosa stesse succedendo, Chico andò a prenderlo in aeroporto, lo portò in una zona isolata e lo uccise”. Con quale movente? Perché voleva appropriarsi di un alberghetto sito all’interno di un’isoletta delle Baleari, dall’altra parte del mondo, per l’irrilevante somma di 25.000 dollari. Allucinante!!!

Non lo dico io, è la tesi dell’accusa. E la cosa curiosa è che questa tesi la scrivono proprio gli innocentisti con queste parole: “La teoria dello Stato sul caso era che Enrico Forti avesse fatto uccidere Dale Pike perché Forti sapeva che Dale avrebbe interferito con i piani di Forti per acquisire dal padre demente, in modo fraudolento, il 100% di interesse di un hotel di Ibiza. Dale aveva viaggiato verso Miami dall’isola di Ibiza in modo che Forti avrebbe potuto “mostrargli il denaro” – quattro milioni di dollari richiesti per la transazione – per l’acquisto dell’albergo di suo padre. Forti semplicemente non lo aveva. Invece, Forti incontrò Dale all’aeroporto e lo condusse alla morte”.

IL RIFERIMENTO – Il riferimento alla somma di 25.000 dollari come prezzo dell’acquisto è stato fatto dai detective intervistati. Quindi, io non affermo un bel niente, quella è la tesi accusatoria così come prospettata dagli stessi innocentisti! Ma incasso di buon grado l’ennesimo attacco personale gratuito, visto che conferma l’approccio marcatamente complottista della Magda.

Il resto della missiva non fa che ribadire questo approccio:

Sig Direttore,

se questa miriade di fesserie elencate nell’articolo “Chico Forti, il caso e le bugie dei media italiani” non fosse stato scritto da una persona accreditata presso il suo “Giornalettismo”, non perderemmo tempo a discuterne, perché il firmatario sig. “B.” pensiamo sia soprattutto malato di protagonismo e non sia degno della minima considerazione.

Ma considerato che questo signore, che di professione fa il poliziotto in Italia (americano di nascita) e risulta titolare di una rubrica presso il suo giornale (ripetiamo, ha scritto anche un “Manuale di difesa contro le balle dei media”), si permette di esprimere dei giudizi lapidari senza cognizione di causa su un caso umano di estrema gravità, allora riteniamo che sia una persona pericolosa perché la sua prosopopea trova qualcuno che gli dà spazio e credito. Se usasse la penna allo stesso modo della divisa per fare il poliziotto (in Italia), abbiamo seri dubbi che faccia bene anche il suo mestiere.

Se prima di scrivere queste idiozie si fosse premurato di prendere informazioni, magari saremmo stati noi i primi a fornirgliele, perché c’è in gioco la vita di un uomo padre di tre figli in  tenera età (americani per nascita), ai quali non fa molto piacere che un fatiscente “Doktor Debunker” imprima gratuitamente il marchio dell’assassino al loro papà.

Un consiglio ci sentiamo in obbligo di dare al sig. “John B.”: dedichi un capitolo di “Bufale” a se stesso.

Il rapporto scritto dai legali italiani di Chico Forti non fa parte della categoria dei media che pubblicano bufale, ma è il frutto di anni e anni di ricerca sugli atti del processo, dove attraverso la consultazione documentale (ottanta allegati) si smonta punto per punto l’impianto accusatorio montato dall’accusa contro Chico Forti.

Certo che se il giudizio preconcetto dei giudici in discussione segue i ragionamenti del sig. “B.”, Chico Forti ha poche speranze che gli venga resa giustizia. Quella vera.

 

Il vero problema di Enrico Forti è che le sue ragioni vengano portate avanti da un manipolo di gente che si approccia in maniera violenta e prepotente nei confronti di chiunque esprima una posizione differente (che peraltro è avallata da una sentenza definitiva) o si permetta anche solo di esprimere scetticismo e prudenza. E tutto questo, senza degnarsi di produrre uno straccio di documentazione a supporto della ricostruzione innocentista, divagando su improbabili complotti e appoggiandosi a personaggi noti per il loro supporto alle teorie complottiste più ridicole, come quelle sull’11 settembre.

LE STESSE CONSIDERAZIONI – Una circostanza che induce ad altra riflessione, è che prima del mio articolo, anche in tempi molto recenti, ci sono state altre pubblicazioni, come quella già citata di Claudio Giusti, che hanno prospettato praticamente le mie stesse considerazioni (e per giunta senza indicare fonti) sul merito della vicenda Forti, e tuttavia non risulta che nei loro confronti ci siano stati attacchi e contestazioni anche solo lontanamente paragonabili a quelli di cui hanno dato sfoggio la Magda e altri innocentisti piombati su queste pagine. Sembra quasi che a Claudio Giusti, in quanto italiano ed esponente di Amnesty International, si può concedere il diritto a un’opinione difforme, mentre fa rodere parecchio che a esprimere perplessità sia un poliziotto, per giunta italoamericano, addirittura debunker.

 Magda Scoppio – Ramazzotti, a nome dei sostenitori dell’innocenza di Chico Forti

John B. e basta.

Io parlo a nome mio, in quanto non ho avuto mandati di rappresentanza. Prendo atto che Magda Scoppio Ramazzotti afferma di parlare a nome dei sostenitori dell’innocenza di Chico Forti, per cui la sua posizione – salvo smentite – deve intendersi rappresentativa del movimento innocentista.