L’identikit di chi ancora non torna a lavoro in fase 2: donne, giovani e lavoratori temporanei

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Nella fase 2 non rientrano i precari, in particolare donne, giovani, part-time, temporanei, stranieri e quelli che lavorano in piccole realtà

Ci sono le persone che ancora non tornano a lavoro e, come risulta da una ricerca Inps e Inapp condotta congiuntamente, la platea è composta da donne, giovani, lavoratori part time e temporanei. Sono queste le persone che, nonostante l’apertura al lavoro della fase 2, ancora non possono riprendere la quotidiana routine, almeno in questo senso. La maggior parte di questi si concentrano essenzialmente nelle piccole imprese, quelle realtà che hanno «meno garanzie sotto il profilo del rischio contagio ed una maggiore fragilità nel mercato del lavoro».



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Proseguono il lockdown i segmenti fragili del mondo del lavoro

La quarantena continua per i lavoratori precari, ovvero: donne (56% del totale dei lavoratori bloccati), lavoratori temporanei (48%), lavoratori part-time (56%), giovani (44%), lavoratori presso piccole imprese (46%) e stranieri (20%). Si tratta di quei professionisti che, secondo quanto riportato dalla ricerca, «hanno livelli medi dei salari annui e settimanali decisamente inferiori rispetto ai lavoratori dei settori considerati essenziali». Nel report emerge come i lavoratori considerati essenziali  guadagnino in media il  127% all’anno rispetto a quelli dei settori che, ancora oggi, rimangono bloccati. Rispetto al salario settimanale la differenza è del 43%. Dove risiede questa fortissima differenza economica? Nell’«instabilità lavorativa decisamente superiore nei settori bloccati, dove il numero medio di settimane lavorate nell’anno è pari a 19 contro le 31 nei settori essenziali». I settori economici che maggiormente subiscono l’impossibilità di ripartire sono “Attività artistiche e sportive” (bloccate totalemente), “Alloggio e Ristorazione” (82% delle attività bloccate) e “Altre attività di servizi” ( bloccati nel 41% dei casi).



Fase 2, più settori riattivati al Nord

La maggior parte di quelli che tornano a lavorare si trovano dove il coronavirus ha colpito di più, nel nord Italia. In particolare coloro che ripartono dal 4 maggio sono perlopiù concentrati nel nord-ovest del paese. I settori essenziali, quindi, hanno una più alta concentrazione proprio nei luoghi dove il Covid-19 è più diffuso. Nelle grandi città gli occhi sono puntati sulle difficoltà di spostamenti tramite mezzi pubblici più che sulle riaperture poiché qui si rileva una minore incidenza dei settori riattivati. A ripartire, come evidenzia il report, sono stati i settori che «presentano un livello medio di prossimità fisica nello svolgimento delle mansioni minore rispetto a quello dei settori bloccati, mentre il livello della propensione a lavorare da casa, in smart working, risulta più elevato».

 



(Immagine copertina da Pixabay)