Nel giro di pochi mesi, Massimo Bossetti torna a scrivere una nuova lettera per parlare della sua vicenda giudiziaria, della sua innocenza e delle accuse che lo hanno portato alla condanna per l’omicidio della giovanissima Yara Gambirasio. Questa volta lo fa con una lettera inviata dal direttore di Libero Vittorio Feltri, bergamasco doc e quasi conterraneo dell’ex muratore di Mapello.
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«Non sono né l’assassino della povera Yara, né il mostro che i media e i social hanno dipinto. Sono un uomo normale, semplice che pensava al lavoro e a non far mancare nulla alla propria famiglia – si legge nella lettera firmata da Massimo Bossetti e pubblicata oggi su Libero -. Non voglio entrare in questa lettera nei dettagli, però non posso fare a meno di dire che il trattamento che la giustizia italiana mi ha riservato è stato scorretto e ha calpestato ogni diritto alla difesa, e mi riferisco anche a quell’ex ministro dell’Interno incapace, che gridava al mondo che era stato preso l’assassino di Yara, calpestando la Costituzione».
A cosa fa riferimento Massimo Bossetti? A quell’annuncio improvvido fatto dall’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano (era il mese di marzo del 2014) che aveva decantato ai quattro venti – ancor prima dell’arresto – l’individuazione del famoso Ignoto 1, il profilo genetico isolato sul corpo della piccola Yara al momento del ritrovamento nel campo in cui era stata lasciata morire.
«Poi in carcere a Bergamo la pm e vari responsabili dell’organo penitenziario, mi pressavano a confessare in continuazione un delitto proponendomi benefici – prosegue Bossetti nella sua lettera a Feltri -. Come potevo confessare un delitto che non ho commesso? La pm più volte ha provato a propormi benefici, se erano così sicuri di aver preso l’assassino,non li proponevano con insistenza, né benefici e tantomeno facevano produrre filmati manipolati da distribuire ai media».
(foto di copertina: ANSA/ FACEBOOK + ANSA/MOURAD BALTI)