La prodezza di Facebook in Australia che blocca le news, ma non tocca gruppi di disinformazione e complottisti

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Il paradosso del social network di Mark Zuckerberg che non sta facendo affatto una bella figura

René Ferretti avrebbe esclamato: «Genio!». Perché i contorni della vicenda di Facebook e dei siti di news in Australia stanno diventando più paradossali delle scene di una puntata di Occhi del cuore 2. Facebook ha deciso di bloccare la condivisione di notizie sulla sua piattaforma, sia da parte degli editori, sia da parte dei semplici utenti. Lo ha fatto in seguito all’iter di approvazione di un pacchetto di leggi che vorrebbe disciplinare il rapporto tra i contenuti informativi e le grandi compagnie del web, da Google a Facebook: il parlamento australiano vorrebbe affidare a un arbitrato esterno le controversie tra grandi piattaforme ed editori sul compenso da corrispondere per l’utilizzo dei contenuti informativi e vorrebbe maggiore trasparenza sugli algoritmi che regolano la distribuzione di questi stessi contenuti sulle piattaforme. La novità di oggi è che le notizie su Facebook continuano a essere bloccate (ma non sono le sole e poi vi spiegheremo il perché), mentre i gruppi di disinformazione, complottisti, legati a Qanon risultano ancora attivissimi. Il paradosso è che, al momento, su Facebook in Australia è in corso la più violenta campagna di disinformazione che la storia recente ricordi.



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Blocco Facebook Australia, la disinformazione dilaga

Una situazione senza precedenti: praticamente, le uniche notizie che sono diffuse su Facebook, al momento, arrivano tutte da fonti non verificate e, pertanto, aprono spazio a una becera campagna di fake news sulla piattaforma. Chi usa abitualmente Facebook per informarsi troverà soltanto contenuti che arrivano da gruppi che diffondono disinformazione e non avrà il contraltare dei cosiddetti “account verificati” a cui viene affidata quotidianamente la gestione delle notizie.



Se si aggiunge che Facebook ha bloccato anche informazioni provenienti da siti governativi (legati alla sicurezza, alla sanità, alla gestione della pubblica amministrazione, persino alla comunicazione socialmente utile e degli enti caritatevoli) o post di aziende che promuovono il loro business raccontando storie (sul Guardian è stata raccontata la vicenda paradossale di un’agenzia di pompe funebri che ha dovuto fare i salti mortali per spiegare a Facebook che non è una news agency, ma che usa il racconto solo per promuovere i propri servizi), allora si capisce quanto la situazione possa essere considerata grave.

Facebook si è difeso sostenendo che la definizione di notizia (su cui il parlamento sta lavorando nell’ambito del testo legislativo contestato) è troppo ampia e, per questo, ingloba anche i casi simili a quelli descritti in precedenza. Si stima che le pagine governative o di aziende che portano avanti il proprio marketing attraverso il racconto di storie possano essere sbloccate entro la prossima settimana. Per le notizie, invece, la lotta si annuncia più dura.



Nel frattempo, però, proliferano i gruppi complottisti e di disinformazione, unica voce sui feed di Facebook australiani. C’è di tutto: teorie di cospirazione sulla pedofilia nella politica australiana che partono da mistificazioni di discorsi di esponenti delle istituzioni locali, disinformazione sui vaccini (ricordiamo che la campagna di vaccinazione di massa in Australia inizierà lunedì prossimo), notizie legate all’ambito dell’estrema destra. Questa prova muscolare di Facebook rischia di coprire l’azienda di ridicolo.