Storie dell’Arte di Padova

La fucina della città nella nascita dell’arte veneta rinascimentale: Palla Strozzi, umanista e mecenate tra Firenze e Padova.

“Palla Strozzi fu esiliato nel 1434, per decisione della Balia di cui faceva parte anche Francesco Tornabuoni, insieme con lo stesso Rinaldo, Rodolfo Peruzzi e Niccolò Barbadori”. Palla Strozzi fu un fine letterato, filologo e filosofo, collezionista di libri rari e conoscitore di greco e latino. Già avanti negli anni si scontrò con Cosimo de’ Medici, e se fu sconfitto da questi sul terreno della passione politica, non si fece però vincere su quello della passione per l’arte e commissionò, alla morte del figlio Alessio, l’Adorazione dei Magi a Gentile da Fabriano destinata alla cappella di famiglia in Santa Trinita, nonché la Deposizione dalla Croce a Lorenzo Monaco, terminata alla morte di questi da Beato Angelico. Nel 1434 Palla partì per Padova, e la sua casa, nella quale egli visse una seconda giovinezza, fu un ritrovo di artisti e letterati, nel periodo d’oro quando la città veneta era uno dei centri culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più importante della stessa Firenze.

GIOVANNI – Erice Rigoni (1937) riconobbe in Giovanni d’Alemagna quel Giovanni da Ulma che, il 25 febbraio del 1437, reduce dall’aver dipinto a olio su muro le decorazioni di “Casa Cornaro” a Venezia, eseguì gli affreschi della volta e della tribuna nella Cappella di San Massimo, sita nel Palazzo Vescovile di Padova, su committenza del vescovo Pietro Donato. L’artista risulta ben inserito nel tessuto sociale padovano dal momento che, il 5 maggio del 1423, accettando la dote della moglie Maddalena figlia di Franceschino da Piacenza, si dichiara “Johannes pictor quondam Nicolai de Alemania” , “ad presens Padue in Strate maioris”. Egli compare inoltre in un diversi documenti, per cui la permanenza continuativa in città gli valse il 20 agosto 1431 l’acquisizione della cittadinanza padovana, in seguito alla quale ebbe la facoltà di prendere a livello perpetuo due case contigue, situate nelle immediate adiacenze dell’indirizzo di residenza. Il 15 gennaio del medesimo anno Giovanni dovette ricevere l’incarico di decorare e dorare il monumento funebre del giurista Raffaele Fulgosio nella Basilica del Santo. Tra il 1441 e il 1442, egli si iscrisse alla locale Fraglia dei pittori, mentre il 23 maggio 1445 è presente a Padova, in qualità di testimone, al testamento di Nicola del fu Angelo scodellaro, assieme ad Andrea Mantegna, Francesco Squarcione, Francesco Rizzo e “magistro Iheronimo quondam Simeonis pictore” di cui non si possiede alcuna notizia. Giovanni d’Alemagna sposò in seconde nozze una sorella di Antonio Vivarini, anche se la società artistica tra i due pittori dovette tuttavia formarsi molto tempo prima poiché risale al 1441 il Polittico di San Gerolamo (Vienna, Kunsthistorisches Museum) eseguito per la chiesa veneziana di Santo Stefano, prima opera nota sorta dalla loro collaborazione. Antonio Vivarini e il cognato Giovanni d’Alemagna vennero probabilmente attratti a Padova dalla prestigiosa committenza del polittico raffigurante la Natività con i santi Francesco, Bartolomeo, Nicola da Tolentino e Antonio da Padova destinato alla chiesa di San Francesco, promossa da Checco da Lion come ha ricostruito Raimondo Callegari. Il complesso ora a Praga, Narodni Galerie, reca la data del 1447 e la firma di Antonio, Giovanni e quella di Cristoforo da Ferrara esecutore di altre complesse carpenterie tardo gotiche per la bottega dei Vivarini. La permanenza patavina di Antonio si dovette prolungare oltre tale data se, il 16 maggio 1448, unitamente al cognato firmò un contratto con Francesco Capodilista, esecutore testamentario di Antonio Ovetari, per la decorazione della parete di destra, delle volte della crociera, dell’arco di ingresso e della porzione di muro soprastante la cappella di famiglia presso la chiesa degli Eremitani anche se, come ha intuito Andrea De Marchi, il muranese non fu particolarmente attivo nell’esecuzione degli affreschi, condotti da Giovanni d’Alemagna, ma con una preponderante presenza di Ansuino da Forlì (fig. 10), allora operante nella bottega del teutonico. Infine se Antonio non operò significativamente nelle decorazioni murali della Cappella Ovetari, si impegnò, ancora a Padova, nella confezione del polittico destinato all’Abbazia benedettina di Praglia, ora presso la Pinacoteca di Brera (fig. 11), datato dalla critica in un arco cronologico compreso tra il 1448 e il 1450. Con la morte di Giovanni d’Alemagna, avvenuta entro il mese di aprile del 1450, Antonio perse il suo riferimento padovano e rientrò a Venezia, non oltre il 1451, lasciando incompiuti gli impegni contrattuali assunti agli Eremitani.

STORIA – Almeno sino alla metà del quinto decennio del Quattrocento Antonio e Giovanni operarono prevalentemente in laguna, ma potrebbe collegarsi all’esordio del loro sodalizio una prestigiosa committenza padovana, favorita forse dai contatti intessuti dal teutonico nella città di Antenore. Si tratta dell’Adorazione dei Magi (fig. 1), conservata presso la Gemäldegalerie, Staatliche Museen zu Berlin con l’attribuzione ad Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna, proveniente dalla famiglia Zen di Venezia, transitata in seguito nella raccolta di Gaspare Craglietto e venduta dai suoi eredi al museo di Berlino nel 1844. L’opera fu al centro di vivaci discussioni da parte della critica otto-novecentesca, che si divise tra quanti individuarono la paternità del solo Giovanni d’Alemagna, oppure la assegnarono al connubio tra questi e Antonio Vivarini, mentre la collocazione cronologica venne circoscritta in un arco compreso tra il 1437 e il 1447 circa. Traspaiono dalla tavola alcuni influssi derivanti dall’analogo soggetto dipinto da Gentile da Fabriano (fig. 2) per Palla Strozzi e, usualmente, tali derivazioni vengono interpretate attraverso gli interessi manifestati da Antonio Vivarini nei confronti di Jacopo Bellini; questi fu allievo di Gentile da Fabriano e potrebbe essere identificato con quel “Jacobus Pieri pictor de Venetiis”, che si trovava a Firenze con il maestro al momento dell’esecuzione della pala Strozzi, di cui al suo ritorno in laguna ne riportò probabilmente alcune copie grafiche. Tale indicazione pare ineccepibile, tuttavia si potrebbe esperire un’altra ipotesi di lavoro che si connette direttamente a Palla Strozzi quale mediatore culturale tra l’atmosfera figurativa della pala fiorentina di Gentile e il milieau artistico “muranese”. Una griglia di riferimenti indiziari potrebbe collegare Palla Strozzi con Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini: il fiorentino intrattenne un intenso rapporto intellettuale, documentato da un prestito di codici, con il veneziano Pietro Donato vescovo di Padova che, come abbiamo visto, nel 1437 diede l’incarico a Giovanni d’Alemagna di decorare la cappella di San Massimo nel Palazzo Vescovile patavino. Il vescovo nel 1436 ordinò un Evangelistario raffigurante una Natività con l’ annuncio ai pastori (fig. 3), già messa in relazione dalla critica con il polittico della Natività e santi (fig. 4) firmato da Giovanni e Antonio nel 1447 per il complesso padovano di San Francesco. La circostanza più interessante ai fini dell’ipotesi qui sostenuta, è relativa all’assunzione del patronato, da parte di Palla Strozzi, della chiesa padovana di Santa Maria di Betlemme, destinata quale luogo di culto e sepoltura per sé e per la propria famiglia; egli promosse nel 1441 la sistemazione interna della chiesa e la fabbrica del nuovo convento, situato nella contrada San Daniele, prospiciente sul Prato della Valle e non molto distante dalla “croxaria sant’Antonii” dove Giovanni d’Alemagna tenne l’abitazione con annessa bottega.

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