Libia, Al Sisi: «L’Italia non dimentichi le lezioni dell’Afghanistan e della Somalia»

17/03/2016 di Redazione

Senza una exit strategy e senza fornire armi e supporto adeguato all’esercito in Libia l’Italia rischia di subire la lezione della Somalia e dell’Afghanistan. «L’intervento militare potrebbe provocare sviluppi incontrollabili». È la preoccupazione espressa in un’intervista rilasciata a Repubblica dal presidente egiziano Abdel al-Fattah Al Sisi.

LIBIA, AL SISI: «CI VUOLE UNA EXIT STRATEGY»

Parlando al direttore Mario Calabresi e a Gialuca Di Feo Al Sisi pone alcuni interrogativi sulla situazione a Tripoli e Tobruk. «L’intervento in Libia? Voglio essere molto sincero – dice -, perché l’Italia è un paese amico dell’Egitto ed entrambi siamo molto interessati alla sicurezza nel Mediterraneo. Prima di tutto bisogna chiedersi: qual è la exit strategy?».

Poi continua:

«Mi sembra opportuno porre cinque domande. Uno: come entriamo in Libia e come ne usciamo? Due: chi avrà la responsabilità di rifondare le forze armate e gli apparati di polizia? Tre: nel corso della missione, come si farà a gestire la sicurezza e proteggere la popolazione? Quattro: un intervento sarà in grado di provvedere ai bisogni e alle necessità di tutte le comunità e i popoli della Libia? Cinque: chi si occuperà della ricostruzione materiale? Perché un intervento esterno abbia successo è necessario che riesca a farsi carico di tutti gli aspetti della vita del paese. Non vorrei apparire esagerato nel sottolineare queste domande, ma si tratta dei problemi con cui dovremmo misurarci nell’eventualità di una operazione sul campo. E in ogni caso è molto importante che ogni iniziativa italiana, europea o internazionale avvenga su richiesta libica e sotto il mandato delle Nazioni Unite e della Lega Araba».

LIBIA, AL SISI: «SI RISCHIA LA LEZIONE DELL’AFGHANISTAN E DELLA SOMALIA»

Per Al Sisi l’esercito nazionale libico, se supportato, «può fare molto meglio di chiunque altro, meglio di ogni altro intervento esterno che rischia invece di portarci in una situazione che può sfuggire di mano e provocare sviluppi incontrollabili». Per il presidente «Bisogna tenere a mente due lezioni: quella dell’Afghanistan e della Somalia. Lì ci sono stati interventi stranieri più di trent’anni fa e quali progressi sono stati raggiunti da allora? I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la storia parla chiaro». Ma il problema non è solo militare:

«Se le istituzioni vengono distrutte, per ricostruirle occorre molto tempo e sforzi significativi. Questa è l’origine delle nostre grandi paure riguardo alla Libia: più tardi agiamo, più rischi si generano. Dobbiamo agire in fretta e difendere la stabilità di tutti i paesi che non sono ancora caduti nel caos, per questo ci vuole una strategia globale che non riguardi solo la Libia ma affronti i problemi presenti in tutta la regione. Problemi che poi possono trasformarsi in minacce alla sicurezza pure in Europa. Guardate cosa sta succedendo con le persone in fuga dalla Siria: cosa accadrebbe ad esempio se l’Europa dovesse misurarsi con un’ondata di profughi due o tre volte più grande di quella attuale? Per questo dico che non ci si può occupare solamente del problema militare della Libia».

(Foto di copertina da archivio Ansa. Credit: EPA / PETER FOLEY)

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