Giulio Regeni: la polizia egiziana lo conosceva e lo cercava dalla fine di dicembre

09/03/2016 di Redazione

La polizia egiziana sarebbe stata sulle tracce di Giulio Regeni fin dalla fine di dicembre. E, dopo essere stato torturato e ucciso, sarebbero immediatamente iniziati i depistaggi per sviare le indagini sulla morte del ricercatore friulano che viveva e lavorava al Cairo. È quanto ricostruiscono oggi Carlo Bonini e Giuliano Foschini su Repubblica che sottolineano come la polizia egiziana conoscesse Regeni e, addirittura, lo cercasse già da diverse settimane prima della sua “scomparsa”:

Due diverse testimonianze indicano infatti che nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del corpo, la mattina del 3 febbraio, la polizia egiziana si mise al lavoro per confondere le acque. Le persone più vicine a Giulio furono segretamente interrogate nella stazione di polizia di Dokki, dove gli furono chieste con insistenza notizie sulla vita privata di Giulio, sulle sue inclinazioni sessuali. E tutto questo mentre il nostro ambasciatore, Maurizio Massari, veniva tenuto volutamente all’oscuro della morte del ricercatore (lo avrebbe appreso “ufficiosamente” soltanto la sera del 3 da una fonte confidenziale egiziana). Di più. La polizia del Cairo conosceva Giulio Regeni. E lo cercò nella sua abitazione di Dokki senza trovarlo, nel dicembre scorso. Una circostanza ufficialmente smentita nei verbali di interrogatorio dei condomini del palazzo ma confermata a Repubblica da due diverse nuove fonti.

GIULIO REGENI FOTOGRAFATO DA UNA RAGAZZA EGIZIANA

Il testimone è un amico di Giulio Regeni, che Repubblica identifica solo come F. per garantirne la sicurezza, che è stato interrogato il 3 febbraio scorso dalla polizia di Dokki, vicino a dove viveva Regeni e che a Repubblica avrebbe rivelato alcuni «dettagli cruciali» su quello che sarebbe successo intorno alla scomparsa del ricercatore:

“Seppi quella sera della morte di Giulio – dice F. ai nostri investigatori in una lunga testimonianza – Me lo comunicarono nella sala d’attesa del commissariato. Mi avevano convocato “per farmi alcune domande”. Mi interrogarono in sei, forse sette. Non c’erano magistrati. Cominciarono a chiedermi di Giulio, dei suoi studi, delle sue relazioni al di fuori della ragazza con cui stava, se facesse uso di sostanze stupefacenti “. […] La sensazione è che già in quelle prime ore gli egiziani si muovano per occultare ogni traccia che accrediti il movente politico dell’omicidio. F. è il custode del “segreto” di Giulio. È stato infatti il testimone oculare di quanto accaduto l’11 dicembre in un’assemblea al Cairo alla quale partecipa con Giulio. “Eravamo insieme in una sala con un centinaio di persone – dice – L’assemblea era stata convocata da una Ong che si occupa di diritti dei lavoratori per riunire il fronte dei sindacati indipendenti: in discussione c’era la legge sul pubblico im- piego e c’era da affrontare il nodo delle libertà sindacali. Non si trattava di una riunione particolarmente a rischio. Anzi. La notizia era circolata anche sulla stampa nei giorni precedenti, ed erano presenti anche diversi giornalisti. Giulio cercava materiale per la sua ricerca. Furono registrati tutti gli interventi e al termine fu lui a fare interviste singole. Una cosa però ci inquietò”. Prosegue F.: “Giulio si accorse che durante la riunione era stato fotografato da una ragazza egiziana, con un telefonino. Pochi scatti. Strano. Ne parlammo a lungo. Una delle possibilità è che fossero presenti informatori delle forze di sicurezza”.

GIULIO REGENI: MOVENTE POLITICO DIETRO LA SUA MORTE?

E si scopre anche che la polizia era stata a casa di Giulio a dicembre, ma non lo trovarono. Tutti indizio che portano verso un movente politico dietro l’omicidio di Regeni, per insabbiare il quale sarebbe stato confezionata una versione egiziana dell’autopsia che non collima con quella italiana:

[…] Dopo la morte di Giulio e la pubblicazione, il 6 febbraio, con la firma di Regeni sul Manifesto dell’articolo che raccontava l’assemblea dell’11, la polizia egiziana si mette nuovamente in allarme. E torna a fare domande che con la ricerca dei responsabili non hanno nulla a che fare. Ma hanno molto a che vedere con le idee di Giulio. Racconta F.: “Giulio non aveva mai collaborato né era entrato in contatto diretto con il Manifesto.Quell’articolo lo abbiamo scritto insieme e l’avevo proposto io al giornale con la garanzia dello pseudonimo. Ho saputo che la polizia egiziana ha chiesto ad altri amici comuni di Giulio, dopo la pubblicazione del 6 febbraio, notizie sulla presunta collaborazione di Giulio con il quotidiano”.

 

Share this article