Dalla guerra sulle bufale passa il futuro del mondo (e non è uno scherzo)

02/11/2015 di Redazione

Ha destato molto scalpore una notizia riportata da Paolo Attivissimo qualche giorno fa: secondo uno studio, sbufalare le bufale sarebbe inutile (sostanzialmente), perché chi ci crede continuerà a crederci in ogni caso.

LE BUFALE E LO STUDIO CHE CI ASPETTAVAMO

Il dato in verità ce lo aspettavamo: bastava leggere i commenti ai post di debunking dei principali siti – tra cui questo – dediti a questa missione sempre più sadomasochistica. Quel che vi si leggeva – e che ora lo studio sembrerebbe certificare nonostante alcuni dubbi sul campione utilizzato – era spesso e volentieri una negazione della realtà. Questo, come giustamente si sottolinea nei commenti dell’articolo di Attivissimo, osservando Facebook, un mondo non esattamente sovrapponibile a quello reale, e che “vanta” delle dinamiche tutte sue – un po’ estremizzate, a volte – che non per forza sono specchio delle dinamiche sociali della cosidetta real life. Ma non per forza non lo sono.

QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLE BUFALE E SUL FUTURO

Il punto è però che il problema non può esaurirsi qui. Perché la storia della bufala in sé come fenomeno su internet suggerisce la necessità di tentare in ogni modo la prossima “evoluzione” della fesseria online. La bufala nasce per essere l’assurda risposta della rete a quello che era una volta la “leggenda metropolitana”: dai Luther Blissett alle maturità di Ciro Ascione, si trattava di un falso che aveva anche – volendo – un valore sociale. Nascevano per mostrare la fallacia del sistema informativo (celebre la bufala di Naomi e dell’intervento estetico) e per far diventare più “furbo” il lettore. Hanno finito per aprire la strada a un fenomeno che oggi è arrivato al suo drammatico culmine, e che rischia di avere drammatici effetti sul futuro. Perché qui non si parla solo delle macchine in regalo su Facebook.

QUELLI CHE SBUFALANO, CREANO DANNI?

C’è una parte  della ricerca in oggetto (quando dice: “users not exposed to debunking are 1.76 times more likely to stop consuming conspiracy news”) che ci può aiutare ad approfondire l’andamento del fenomeno bufala nella “storia” sino a oggi per cercare il punto in cui il debunking ha cominciato a “fallire”. Cosa dice quel semplice rigo? Dice che – secondo i dati raccolti da questo studio, con i dubbi di cui abbiamo già parlato – chi non è stato esposto agli articoli anti-bufala ha 1,76 volte più probabilità di smettere di credere alle teorie cospirazioniste: in soldoni, quindi, il debunking sarebbe dannoso oltre che inutile. In questa occorrenza forse si nasconde un punto chiave della “battaglia” delle bufale che ci ha condotti sin qui e potrebbe essere nocivo allo stesso punto delle bufale stesse. Il punto è che anche la comunità dei debunker, con il tempo, ha iniziato a mostrare alcune delle caratteristiche di quelli contro i quali pure sono “nati”. E, in generale, la battaglia si è spostata sull’ambito delle fazioni tralasciando – paradossalmente – quella scienza da cui pure era partito. Ha perso, insomma, di serenità.

LE BUFALE SI NUTRONO DI “TIFO”

Ma le bufale oggi, dicevamo, non sono solo false tracce di maturità e macchine in regalo via Facebook. Sempre più spesso – se volessimo creare una datazione, diremmo AL e DL, cioé Avanti Lercio e Dopo Lercio – Dopo Lercio la bufala è diventata sottile, costruita ad arte, ha avuto un fine che non era più scardinare il sistema, ma blandirlo per “guadagnarci”. Non è un caso, infatti, che questo genere di bufale si occupi di temi che “dividono”, come per esempio l’immigrazione. Che siano soldi o voti poco importa, la bufala si è fatta sistema e non “arma” di rivoluzione, come era forse negli intenti di chi per primo l’ha usata. E come sempre, quando si parla di “politica” (in senso lato), la bufala ha fatto della brutta abitudine delle persone a farsi fazione la propria forza: in virtù della fazione continuerà a girare e crescere, perché chi ci crede non lo fa solo per fede cieca, lo fa anche per appartenenza. Così come chi critica, ormai, non usa più -spesso e volentieri – la serenità di un approccio scientifico come si dovrebbe fare, sentendosi anche lui parte di una fazione in lotta con l’altra. E’ in questa distorsione forse che potremmo individuare alcuni dei motivi che danno un senso a questo studio. E che possono suggerirci delle domande, cartesiane, serene, su come evitare di farci trascinare nella fanga “del tifo” per far sì che dal tunnel della guerra sulle bufale non esca qualcosa di peggiore di quello che ci è entrato.

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