Florenzi, il fenomeno supernormale

Terzino, mezzala, esterno d’attacco. Che segna di destro, di sinistro e di testa. Di potenza, a giro e in acrobazia. Nei sedici metri, da fuori area e da casa sua. Che sforna assist, che calcia corner, punizioni e rigori. Alessandro Florenzi sa fare tutto e sa farlo bene perché oltre a essere un talento è un perfezionista. Chi ci lavora e ci ha lavorato insieme o chi come me ha avuto la possibilità di vederlo allenarsi dal vivo a Trigoria lo sa: Florenzi è uno di quelli che lascia per ultimo il campo snervando compagni e staff tecnico perché è tardi e lui chiede un altro cross per provare una rovesciata, un altro pallone per spiazzare dal dischetto il portiere della Primavera aggregato alla prima squadra che resta solo per lui. La sua crescita è frutto di un lavoro quotidiano che gli allenatori non possono fare a meno di notare. Non a caso non ce n’è uno che non si sia innamorato di lui: da Alberto De Rossi e Bruno Conti nelle giovanili passando per la gavetta a Crotone in Serie B, toccando le varie nazionali azzurre, fino ad arrivare a Zeman e Garcia. Sempre una maglia da titolare, non importa dove perché sanno che se la caverà.

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Il fotogramma dopo il capolavoro di ieri sera è un’istantanea fedele e genuina del giocatore e dell’uomo che Florenzi è: fa un gol da cineteca e si mette le mani in faccia per dire “mammamia che ha fatto questo” come se fosse sugli spalti e quello in campo non fosse veramente lui. Del ragazzo di Vitinia, vicino Ostia – mai espulso in quasi 200 gare da professionista, in media la miseria di un cartellino giallo ogni quattro partite – non leggerete mai che ha parcheggiato in un posto riservato ai disabili – vedere Icardi – che ha fatto una rissa in discoteca o dato fuoco al bagno di casa – vedere Balotelli – o che ha messo su la pancia – vedere Cassano e company. Florenzi è il marito di Ilenia conosciuta allo stadio, il nipote che corre ad abbracciare la nonna che è in tribuna per la prima volta, il coinquilino cazzone dei The Pills. È il professionista che davanti ai microfoni sa sempre cosa dire, essere aziendalista quando necessario, graffiante quando c’è da difendere un compagno (lo fece con Doumbia – sì, Doumbia – accusato di aver svolto un finto riscaldamento prima di entrare in campo in Inter-Roma). E autentico quando Ciro Ferrara su Mediaset gli chiede nel postapartita “Di’ un po’, cosa ti ho detto prima della partita??” e lui “Nun me ricordo proprio”. Tutti lo vorrebbero nella propria squadra, tutti lo inviterebbero a pranzo la domenica se solo non fosse impegnato ad arare la fascia destra. A trovarne un altro così nel calcio di oggi perdereste solo tempo.

Photocredit copertina Maurizio Lagana/Getty Images

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