Charlie Hebdo e la sera in cui è morto il servizio pubblico in tv

08/01/2015 di Boris Sollazzo

Vorrebbero mettere il canone nella bolletta dell’elettricità. E hanno ragione. Perché lo si può pagare solo ed esclusivamente se obbligati. Scegliere di farlo ormai è autolesionismo purissimo, non sense da commedia demenziale.

Intendiamoci, la tv con l’attentato a Charlie Hebdo ha dato il suo peggio. Se con Pino Daniele e una notte di black-out dell’informazione classica, sono morte le agenzie, come ha sottolineato il direttore Marco Esposito, con la strage francese è deceduto il giornalismo televisivo. Ma almeno, da Sky a La7, ci ha provato.

La Rai neanche quello. Certo, a Chi l’ha visto se ne sono occupati (non a caso: la conduttrice Sciarelli e il direttore di rete sono comunque giornalisti di razza). Certo, RaiNews (e ci mancherebbe!) sono rimasti sul pezzo. Ma le reti generaliste, quelle che non fanno share da prefisso telefonico, non hanno saputo reagire alla tragedia.

In prima serata Enrico Mentana decideva invece che la cosa migliore da fare era sentire cosa pensasse Lucia Annunziata sul tragico fatto (la migliore in studio nello speciale Tg La7), far parlar poco e male chi ne sapeva e affidare tutta la trasmissione al dimenticabile e puerile dibattito Quartapelle-Salvini, perché solo in Italia possiamo pensare che possa essere interessante la speculazione politica della provincia nostrana più di un’analisi seria della demolizione delle nostre libertà fondamentali, dell’annullamento dei diritti dell’uomo basilari. Un’impostazione che denuncia la totale incapacità dell’informazione tricolore a uscire fuori da sé, ma almeno il buon Chicco ha capito che qualcosa, su Parigi e i tre francoalgerini che hanno ammazzato una dozzina di uomini, tra cui vignettisti, giornalisti, editorialisti e poliziotti che li difendevano, andava fatto.
Male, magari, ma andava fatto.

Mamma Rai, ormai creatura patetica ed elefantiaca incapace di capire il mondo attorno a sé, invece, blinda il suo palinsesto. Fatto, peraltro, di contenuti rinviabili (semmai ce ne fossero di non procrastinabili, ieri). Regalandoci una prima serata in cui la programmazione leggera, in tutti i sensi, inquietava, sembrando davvero una parodia satirica, forse una metacitazione incompresa della genialità dei disegnatori uccisi.
E allora tutti a seguire il settimo canale, per disperazione più che per scelta, almeno finché il Tg 2, con il minimo sindacale di informazione, decide di fae uno striminzito speciale dopo l’imperdibile L’apprendista stregone. Sulla rete ammiraglia, dopo la fiction Che Dio ci aiuti 2 (forse un auspicio?), arriva finalmente Porta a Porta. A parlare di Pino Daniele.

Il servizio pubblico, ormai, ha abdicato a ogni suo compito. Non può ignorare, con questa tracotanza o, peggio, inadeguatezza, una data che rimarrà impressa nel nostro immaginario e dopo la quale, forse, nulla sarà più lo stesso.
Tranne il palinsesto Rai, ovviamente.

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