Rimborsopoli Lazio, tocca al Pd fra ostriche e vecchie multe

Rimborsopoli Lazio, dopo la bufera che coinvolse il PdL, Franco Fiorito e l’allora giunta di Renata Polverini, le inchieste di Rieti coordinate dal Pm Giuseppe Saieva stanno per produrre gli avvisi di garanzia a carico degli allora consiglieri regionali del Partito Democratico, oggi quasi tutti deputati, che saranno così coinvolti nelle inchieste tanto quanto gli ex consiglieri del PdL finiti nella bufera.

RIMBORSOPOLI, GLI INDAGATI – Scrive il Corriere della Sera che “il candidato del centrosinistra Nicola Zingaretti condusse una battaglia col partito per non far ripresentare in Regione neanche uno dei consiglieri uscenti. Così molti di loro, oggi sotto accusa, sono stati candidati direttamente in Parlamento”. Parliamo di “Claudio Moscardelli, Bruno Astorre, Carlo Lucherini, Francesco Scalia e Daniela Valentini” e l’ora sindaco di Fiumicino Esterino Montino, già vicepresidente della giunta di Piero Marrazzo e poi presidente reggente e facente funzioni., nonché Enzo Foschi, già nel comitato elettorale e nella segreteria del sindaco di Roma Ignazio Marino.

Nella nuova inchiesta anche Marco di Stefano, già indagato per corruzione nell’ambito della vicenda Lazio Service – Pulcini.

LE SPESE – “Secondo gli investigatori avrebbero chiesto al partito rimborsi maggiorati su spese ordinarie, da quella per il taxi ai biglietti ferroviari e aerei. In nota al partito anche spese ordinarie, pranzi e cene in ristoranti dal menu a base di pesce”, scrive ancora il Corriere della Sera. In alcuni casi le elargizioni di denaro pubblico venivano “mascherate” sotto forma di false consulenze o collaborazioni professionali, secondo gli inquirenti mai effettivamente verificatesi: Non solo, ci sarebbero anche “rimborsi per murales nel quartiere popolare del Quadraro”, ancora “il finanziamento di una serie di sagre paesane, di tornei di calcio e, per l’accusa, di attività non riconducibili alla politica”. Nel frattempo, scrive il Messaggero, il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha rinunciato, come molti altri consiglieri regionali, al trattamento vitalizio, ovvero al trattamento previdenziale contributivo che scatta dopo i 65 anni.

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