Stato-mafia, il caso Violante

Dal ritiro della candidatura alla Consulta, dopo 20 bocciature, fino alla rivelazione di Napolitano sul suo conto, nel corso della deposizione come teste nel processo sulla “trattativa Stato-mafia“: «Mi spiegò che l’ex sindaco Vito Ciancimino voleva parlare con l’antimafia», subito dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Adesso Luciano Violante potrebbe essere riascoltato dai pm, con la procura che – come spiega Attilio Bolzoni su “La Repubblica” – vuole capire perché sotto testimonianza l’ex presidente della Camera si fosse “dimenticato” del “particolare”.

 

Stato Mafia Napolitano violante
Luciano VIolante e Giorgio Napolitano

 

STATO-MAFIA, IL CASO VIOLANTE – Non è la prima volta, considerato come, dopo aver appreso delle manovre del Ros sullo stesso Ciancimino, aspettò ben 17 anni prima di riferire dei suoi tre incontri avuti con il generale Mario Mori. “Ritrovò” memoria soltanto nel 2009, soltanto dopo che Massimo Ciancimino, (il figlio dell’ex sindaco mafioso), ora tra gli imputati nel processo, aveva parlato alla stampa di “garanzie politiche” chieste dal padre al colonnello. E aggiunto che «della trattativa doveva essere informato il presidente della commissione antimafia Luciano Violante». Adesso i pm vogliono capire perché lo stesso Violante non si sia ricordato anche di aver riferito anche a Napolitano della “voglia di parlare” dell’ex sindaco di Palermo.

Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, Mori propose a Violante di incontrare Vito Ciancimino, secondo il racconto fatto nel 2009 dallo stesso ex presidente della commissione antimafia. Ma l’allora presidente della commissione antimafia spiegò all’alloraprocuratore aggiunto Antonio Ingroia e al sostituto Roberto Scarpinato di aver rifiutato, chiedendo se l’autorità giudiziaria fosse stata informata della disponibilità a parlare dell’ex sindaco. «Si tratta di una questione politica», replicò Mori, come ricorda “La Repubblica”. Un punto oggetto delle investigazioni della procura palermitana, in cerca del “mandante” e nel tentativo di capire quale fosse la “questione” citata dal generale. Chi diede l’autorizzazione agli ufficiali per cercare quel negoziato con i boss mafiosi e con Riina (in quel momento ancora ricercato)? E perché Violante si decise a riferire di quei contatti con Mori soltanto nel 2009? Quesiti che verranno posti da Di Matteo, Agueci, Teresi all’ex “toga rossa”, così come verrà chiesto del dialogo avuto con il capo dello Stato, come svelato dallo stesso Napolitano.

LA DEPOSIZIONE DI NAPOLITANO – Sulla deposizione di Napolitano, i pm speravano di ottenere qualcosa di più sulla lettera del consigliere giuridico Loris D’Ambrosio. Una missiva nella quale questi aveva esternato al capo dello Stato il«vivo timore di essere stato considerato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi», nel periodo tra il 1989 e il 1993 (quando ricopriva incarichi prima all’Alto commissariato per la lotta a Cosa Nostra e poi al ministero della Giustizia, ndr). «Prendiamo atto che su questo non aveva altro da aggiungere», ha spiegato l’aggiunto Agueci. I pm considerano però importante le parole sull’aut aut della mafia allo Stato, sulle bombe del 1993, sul black out al centralino di Palazzo Chigi. E il timore del golpe il 28 luglio 1993, il giorno delle autobombe a San Giovanni in Laterano e San Giorgio in Velabro (il giorno prima 5 persone erano morte nella strage di via Palestro a Milano, ndr). Con Napolitano che avrebbe confermato l’impressione, tra le alte cariche dello Stato, secondo cui le bombe del ’93 fossero state un nuovo segnale del ricatto mafioso alle istituzioni, perspingere un allentamento della repressione.

LA NOTTE DELLE BOMBE E I « POTERI OCCULTI»  –  Sempre su “Repubblica” viene per la prima volta riportato il rapporto riservato redatto dagli 007 sulla notte delle bombe, dove si parla di ricatto non solo mafioso. Ma anche di “poteri occulti”. Per la precisione, se si individua come maggiore responsabile Cosa Nostra (i corleonesi, probabilmente), non si esclude il coinvolgimento di gruppi legati a Camorra e ‘Ndrangheta o di “gruppi affaristici o centrali di potere occulto”. Un documento, oggi declassificato, che può essere importante nel processo in corso a Palermo. Nel rapporto, non firmato, si legge che tra le mire del boss ci fosse il carcere duro, interpretato dai servizi segreti come lo strumento che “stava inducendo alcuni boss a rivedere il loro comportamento e collaborare con l’autorità giudiziaria”. Eppure lo Stato allentò propria quella misura (l’ex Guardasigilli Conso nel 1993 non rinnovò oltre 300 provvedimenti di 41-bis, ndr). E “Repubblica” ricorda anche come diversi testimoni videro una donna bionda, di circa 25 anni, poco prima delle esplosioni a Roma e Milano. Accanto a un uomo di circa 30 anni. Chi fosse è un mistero, dato che mai una ragazza è mai comparsa nei commandi di mafia condannati per le stragi del 1993.

 

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