Gli omosessuali sfidano i pregiudizi. Forse anche i tuoi

Manifesteranno a Roma, per la ventesima volta consecutiva.

E non sarà un carnevale. Non sarà una festa di paese, nè una parata di carri, nè la sagra delle oscenità, nè la fiera della stranezza.

Scenderanno in piazza per rivendicare la loro uguaglianza, non per sottolineare la loro diversità.

Contro i pregiudizi di quelli che non perdono occasione per ridicolizzare e insinuare la paura negli altri. Quelli che screditano per fare propaganda, ma soprattutto per mantenere una visibilità che altrimenti non avrebbero.

Quelli che provano ancora del gusto nell’infierire, nel bacchettare, nel fare la morale, seduti sui loro scranni, in piedi a leggere libri in silenzio o chiusi nel loro perbenismo, come se la scelta fosse tra giusto e sbagliato, come se ci fosse una scelta da fare, come se non fosse naturale ciò che natura crea, come se rispettare ciò che la natura ha creato fosse innaturale.
Come se non ci fosse posto per tutti, come se ci fosse un rischio di contaminazione, come se fosse legittimo chiedere a un essere umano di rinnegare sè stesso, come se non fosse naturale amare chi si ama e dare un nome e un peso a questo legame.

Per fortuna, non saranno soli nel chiedere che vengano riconosciuti diritti universali già legge in molti stati del mondo, molti dei quali, tra gli ultimi Francia, Spagna, Inghilterra, Irlanda e Portogallo, sono in Europa. Diritti dell’uomo, che fanno la dignità e la differenza nella vita di ogni essere umano.
Ci saranno insieme a loro tutti coloro che credono in un paese più equo, più giusto, più solidale, più serio. Tutti coloro che credono in una società più libera, aperta, tollerante.

Quest’anno la comunicazione è stata molto efficace oltre che innovativa e coraggiosa nel linguaggio. 
Facendo leva su contenuti di qualità e condivisione sul web, questa è stata l’edizione più social di sempre e di maggior successo online.
Un successo di numeri senza precedenti, granzie ai tantissimi like e commenti sui social network e alla partecipazione spontanea di massa.
Più di 150 persone, durante i 15 giorni di scatti fotografici, si sono messe in prima linea prestando il loro volto per sostenere la campagna del 20° Roma Pride del prossimo 7 giugno, iniziata alla vigilia della 10° giornata mondiale contro l’omofobia e transfobia del 17 maggio.
Più di 1.500 persone in pochi giorni hanno scaricato l’applicazione (più di 4.000 i tentativi non portate a termine) che ha consentito loro di esserci allo stesso modo.
Forti del messaggio di Barack Obama, per cui “tutti gli esseri umani devono essere trattati in modo egualitario e devono avere piena facoltà di esprimere il loro massimo potenziale”ognuno ci ha “messo la faccia” grazie a una foto, ognuno con una storia alle spalle.
Storie che sono diventate una sola grande sfida, a viso aperto: “CI VEDIAMO FUORI”.

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Roma Pride ha offerto ascolto e dato eco a questi racconti, dando loro il giusto risalto, per fare in modo che venissero conosciuti, che la gente potesse riconoscersi in essi e trovare il coraggio di superare le tante difficoltà che ancora oggi ci sono in questo paese.

Ogni giorno è stata pubblicata una foto sulla pagina Facebook, introducendone i protagonisti e spigandone le storie.

Ne cito tre, anche se dovrei citarle tutte, visto quanto sono belle e vere.

1. PAOLA E CARLO:

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«Paola e Carlo hanno due figli. Uno dei due 12 anni fa ha detto loro di essere gay, anche se in fondo Paola lo sapeva da sempre. Per lei, è stato tutto piuttosto facile. Per Carlo no, ma ha capito presto che era lui a dover lavorare su se stesso. D’altronde, sapeva cosa voleva: “l’obiettivo era quello di volere bene a mio figlio esattamente come gliene volevo un minuto prima”. È stato studiando, conoscendo e incontrando gli altri genitori che hanno capito come tutti i pregiudizi che avevano fossero unicamente “frutto di ignoranza”.
Oggi Paola e Carlo si battono per dare a loro figlio il diritto di vivere serenamente alla luce del sole.

Il 7 giugno a Roma scenderanno in piazza a viso aperto, per farsi vedere dai figli di quelli che non hanno ancora capito e dare loro speranza. Quello che non potranno far capire agli altri genitori sarà la commozione dei ragazzi che come ogni anno applaudiranno al loro passaggio. Per raccontarla, dicono, non basterebbero mille parole. A definirla invece ne serve una soltanto. Una che conosciamo tutti, da almeno vent’anni. Orgoglio.»

2. ALESSIA ED EVA:

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«Alessia ed Eva stanno insieme da poco, ma si amano come se fosse da sempre. Eva è dichiarata da molti anni, Alessia soltanto da due, eppure il suo orgoglio non è da meno, per molti motivi. Alessia è ebrea. I suoi nonni paterni furono salvati dal rastrellamento del ghetto di Roma grazie al coraggio di un fornaio che li tenne nascosti per diverso tempo, rischiando la vita. Senza quel coraggio suo padre non esisterebbe, tantomeno lei e, oggi, il suo grande amore per Eva. Alessia sa come la pensa la religione sull’omosessualità e sa che nonostante la comunità ebraica abbia condiviso con gli omosessuali l’orrore della deportazione, questo non ha di per sé modificato il modo in cui sono percepiti. Ma soprattutto tra i più giovani le cose stanno cambiando, e ancora una volta grazie al coraggio dei singoli. Quello iniziato ieri sera è stato uno Shabbat di prime volte. Per Alessia, il primo in cui ha portato in casa una ragazza. Per Eva, cristiana, il primo in assoluto. Lo ha vissuto con amore insieme a tutta la famiglia di Alessia, che forse un giorno sarà anche la sua.

Il 7 giugno a Roma Alessia ed Eva scenderanno in piazza per difendere la dignità di ogni identità, perché nessuno possa mai più metterla in discussione. Ma soprattutto sfileranno orgogliose del loro amore, per celebrare il coraggio di chi sa che se vuoi iniziare a cambiare le cose, devi iniziare a metterci la faccia.»

3. JURI E GABRIEL:

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«Juri ha trent’anni ed è felicemente eterosessuale. È cresciuto trascorrendo molto tempo con suo zio Michele e il suo compagno Stefano, per lui semplicemente “zii”. È cresciuto in una famiglia senza l’ombra di un pregiudizio. È cresciuto bene, e libero. Per suo figlio Gabriel, desidera lo stesso. Per questo già l’anno scorso il piccolo Gabriel ha partecipato al suo primo pride: aveva solo un anno. Juri su questo non ha dubbi: “ce lo porterò sempre, perché vorrei che imparasse il valore dell’uguaglianza, esattamente come ho fatto io”. Quella stessa estate, Gabriel ha passato con gli zii di papà dei giorni stupendi di mare che forse da grande non ricorderà. Ma ricorderà tutti quelli che di certo verranno, anno dopo anno.

Juri e Gabriel il 7 giugno a Roma scenderanno in piazza per dimostrare a chi non ne è ancora convinto che dove c’è amore c’è famiglia, e che nessuno dovrebbe poter impedire a qualcun altro la gioia di diventare genitore. Lo faranno per i loro zii, ma soprattutto per loro stessi. Perché un futuro più giusto è un futuro migliore, per tutti.»

Anche Repubblica.it ha dato risalto all’evento pubblicando nei giorni scorsi il video di un minuto celebrativo dei vent’anni del pride romano, che, ricordo, ha il patrocinio del comune di Roma e della Regione Lazio, e che quest’anno vedrà il Sindaco Ignazio Marino partecipare al corteo.

Vi invito a scorrere la pagina Facebook di Roma Pride, per leggerne i preziosi contenuti; ad approfondire sul sito, dove è raccontato tutto.

Da che parte sto io? Beh… a me interessa più da che parte state voi e se avete ancora pregiudizi…
Se li guardate bene, se guardate il loro viso… vedrete che non c’è niente di cui avere paura e che non c’è nulla di sbagliato.
E, se ci pensate bene, quello che loro chiedono, a voi non toglie nulla.

 
P.s. Anche Nichi Vendola ieri 3 giugno ha deciso di “metterci la faccia” insieme al compagno Ed. Chiudo con la loro storia. 
 
ED E NICHI:
 
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«Ed e Nichi si sono conosciuti per caso un pomeriggio di dieci anni fa in un bar della capitale. Dopo qualche chiacchiera Nichi ha invitato Ed, italo-canadese, a fare una passeggiata per fargli scoprire le bellezze di Roma. Quella passeggiata non è mai più finita.
Nichi è Nichi Vendola, il primo presidente di Regione dichiaratamente gay in Italia, eletto contro ogni pronostico che lo vedeva “perdente per definizione” proprio in quanto omosessuale. “Almeno in campagna elettorale togliti l’orecchino”: a chi gli lanciava moniti come questo, rispondeva che fossero richieste improponibili. Quello che dagli altri era visto come un simbolo di effeminatezza, per Nichi era un modo di arrivare agli altri in maniera autentica.
Vinse, e d’un tratto “il ricchione” divenne “il presidente”.
In questi 20 anni Nichi è stato al Pride più volte, sfilando con migliaia di persone che chiedevano esattamente quello che chiedeva lui; perché quando si tratta di discriminazioni l’Italia non fa sconti neanche a chi ricopre un incarico istituzionale.
Ed gli è sempre stato accanto nel privato. In pubblico no: per anni ha cercato di difendere la riservatezza della loro storia d’amore. Poi un giorno ha capito che se l’uomo che ami è un personaggio pubblico, tutelare la privacy in tutto e per tutto vuol dire doversi nascondere. E di nascondersi, non aveva più alcuna intenzione. Da quel momento, ogni volta che ha potuto, è stato al suo fianco. Senza più remore. A viso aperto.

Oggi Ed e Nichi sognano di sposarsi e avere un figlio. Anzi, più di uno. E sognano di farlo qui, in un Paese in cui certi diritti non siano “concessi” come fossero un favore, ma garantiti.
E soprattutto, come tutti gli altri che il 7 giugno a Roma scenderanno in piazza, sognano di poter smettere presto di sognare.
Perché la loro vita, vogliono viverla. Ora.»

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