Diagnosi 2.0: quando il medico ti cura su internet

«Ho un doloretto qui, che sarà?» «Non riesco a dormire da settimane, potrebbe essere non una semplice insonnia?» «Non riesco a piegare il ginocchio, chissà che cosa ho». Se non sei un medico, quello che sarebbe sensato fare è rivolgersi a un medico. Spesso anche se lo sei, perché l’iperspecializzazione della medicina porta ogni operatore sanitario a conoscere bene solo un dominio abbastanza ristretto.

DOTTOR GOOGLE – Ma non sempre va così, e le ragioni sono molteplici. Tra queste ci sono la sfiducia o un incontro passato insoddisfacente, l’ignoranza, la presunzione, l’approssimazione, la curiosità e la voglia di cavarsela da soli. Ultimamente il fenomeno si è arricchito di un nuovo aspetto, o meglio il gioco del “medico fai da te” è diventato più semplice. Da tempo ci sono le enciclopedie mediche o la posta del cuore (in senso letterale), gli amici e i conoscenti cui chiedere, ma oggi l’internet ha reso tutto più facile. Da siti come Symptom Checker from WebMD. Check Your Medical Symptoms... a Medgle, da Mayo Clinic Symptom Checker a Sanihelp “cerca la malattia”  (qui c’è un elenco parziale), le pagine dedicate all’autodiagnosi o quelle di area sanitaria sono tantissime.

QUALCHE NUMERO – Sono circa 4 milioni gli italiani che si rivolgono al “dottor web” secondo una ricerca di qualche anno fa. Nel giro di poco tempo si è passati da una percentuale inferiore al 3% al 13%.  Non è una tendenza solo indigena. All’inizio del 2013, Pew Internet ha pubblicato un report, “One in three American adults have gone online to figure out a medical condition” , sulla salute online in cui emerge che l’81% dei cittadini statunitensi usa internet e il 59% lo usa per cercare informazioni sanitarie: autodiagnosi, rimedi, prognosi. Il 35% ha cercato di capire di cosa soffrisse. Come dicevo, dr. Google non è il primo “intruso” nel rapporto tra il paziente e il medico. C’è una lunga tradizione di acquisizione di informazioni da parte di amici o familiari (60% degli intervistati) o di persone con sintomi simili (24%). Un’informazione sanitaria tra pari che oggi si allarga abbracciando i motori di ricerca o le enciclopedie mediche online.

diagnosi 2.0 Dr.Google

JAY GOULD – Pensando alla partecipazione “attiva” da parte del paziente, non può non venire in mente Stephen Jay Gould. È lui stesso a raccontare come, dopo una conversazione insoddisfacente con il proprio medico, abbia cominciato a raccogliere la letteratura scientifica sulla sua malattia: il mesotelioma. È lo stesso Jay Gould a raccontare anche come l’acquisizione di informazioni sulla patologia e la prognosi gli abbia permesso di avere un quadro più completo e di interpretare correttamente e in modo soddisfacente il futuro possibile. Il fatto è che Jay Gould aveva mezzi di comprensione che pochi di noi hanno, e la sua storia non può essere rappresentativa. Il pericolo, infatti, si annida nella difficoltà di selezionare e comprendere le informazioni in cui ci imbattiamo alla ricerca di chiarimenti e dati.

IL RUOLO DEL MEDICO – Come reagisce il medico davanti al paziente “informato”? Dipende ovviamente dal medico, e dalla sua reazione dipenderà il rapporto che si instaurerà. Elena Maino è ematologa e lavora all’Ospedale dell’Angelo di Mestre. L’Unità Operativa è un centro trapianti di midollo osseo, specializzato nel trattamento di patologie come leucemie, linfomi e mielomi. Maino è abbastanza giovane da considerare la presenza dell’internet familiare. Ha sempre fatto parte del suo panorama e questo forse all’inizio può essere d’aiuto quando le dicono «dottoressa, so cosa ho e come devo curarmi». «La prima volta che mi è successo – mi dice Maino – ho avuto la sensazione che venisse sminuito il mio ruolo di medico. La medicina è sempre più specialistica, perciò quando arrivano da me è difficile che non sappiano nulla, ma sentirsi dire che sanno già tutto può essere spiazzante, può anche farti sentire inutile. E potrebbe essere non proprio un buon inizio per una relazione terapeutica. Poi però mi sono resa conto che sta proprio cambiando il modo in cui le persone si relazionano alla medicina e ai medici – giustamente, direi. Ho anche avvertito una perdita di autorità con cui i medici devono fare i conti».

 

RAPPORTO MEDICO/PAZIENTE Le diagnosi via web si inseriscono in uno scenario di cambiamento più generale: fino a qualche tempo fa il rapporto tra medico e paziente era di assoluta dipendenza (paternalismo). Il medico conosceva la malattia e i modi per affrontarla, e il paziente eseguiva gli ordini. Quel modello è stato sostituito, anche se ancora non perfettamente, dall’autodeterminazione: la decisione finale non può che spettare al paziente, una volta correttamente informato. Senza consenso informato non si può intervenire – se non in casi eccezionali – e il paziente è il “protagonista” del rapporto, non più la malattia né il volere del medico. «E deve essere parte attiva del processo diagnostico e terapeutico – aggiunge Maino. Dopo l’iniziale difficoltà, ho pensato che lo faccio anche io: digito su Google in cerca di informazioni e dati, e lo faccio anche riguardo a questioni con cui ho scarsa familiarità. È impossibile e rischioso ignorare questo dato di realtà. È un punto di partenza diverso nello stabilire la relazione con il paziente, ma può anche essere un punto migliore. Viene meno quell’autorità assoluta del medico, e questo non può che essere positivo».

 

NUOVO PUNTO DI PARTENZA – «Stabilire una relazione è fondamentale per il percorso di cura, sia che tu veda il paziente in ambulatorio una volta ogni tre mesi, sia che tu lo segua ogni giorno. Se la relazione non c’è oppure è inefficace, il percorso di cura può essere compromesso. Allora non puoi ignorare che arrivano “imparati”. Se metti da parte l’orgoglio e riesci a capire le ragioni per cui cercano, sarà più facile impostare una relazione». Quali possono essere le strategie per impostare il rapporto con i propri pazienti? Dice Maino: «Inizio chiedendo loro cosa sanno della malattia. Non voglio che fingano di non aver letto, ma cerco di correggere insieme le nozioni sbagliate. Il fatto che si cerchino i sintomi o, se già hanno una diagnosi, il percorso di cura, non è necessariamente sbagliato. È anche un modo per non sentirsi soli, per entrare in contatto con altre persone che hanno fatto lo stesso percorso. E ci sono siti ottimi, corretti e molto utili, come quelli a cura delle associazioni mediche o di pazienti. Io vedo anche persone affette da leucemia mieloide cronica, e c’è il sito dell’Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma (AIL http://www.ail.it) che è fatto benissimo. Spesso sono io a segnalarlo e a invitare i miei pazienti a visitarlo. È un canale di comunicazione come un altro». Appunto, l’internet è uno strumento come un altro, non è intrinsecamente né buono né cattivo, né utile né inutile. Non ha molto senso stigmatizzarlo né trasformarlo in un diritto umano fondamentale, nella soluzione alle disparità di informazioni e mezzi o nel novello salvatore dell’umanità.

 

PERCHÉ SI CERCA SUL WEB? – L’esperienza di Maino conferma quello che le ricerche indicano come le principali motivazioni della cura fai da te. «I pazienti non sono sempre soddisfatti del rapporto con le istituzioni. Non è raro che un paziente esca da una visita senza aver capito. Lo dico criticamente, io sto dalla parte del torto. Allora magari tornano a casa e vanno a cercare su internet. Anche la possibilità di anonimato conta: puoi esprimere i tuoi dubbi e non temi il giudizio. Questa forma di autocura ti fa anche sentire meno vittima. La malattia ti capita, tu ti trovi la soluzione, reagisci. Non è sbagliato cercare una soluzione, l’importante è correggere il tiro subito. Su Internet si trova di tutto, è necessario scremare e bisogna farlo insieme». La fiducia è una condizione necessaria nello stabilire una relazione, e avviarla con una frustrazione o una negazione della realtà non sembra essere una strategia vincente. Non è nemmeno una novità assoluta, perché prima lo si faceva chiedendo agli amici, ai parenti, ai conoscenti. La differenza sta nel grado di affidabilità percepita. Come dice Maino: «l’autorità di internet è diversa dall’informazione ricevuta da qualcuno. Un conto è il vicino di casa, un conto è il web che sembra per molti una fonte di verità indiscutibile. “L’ho letto su internet”, non solo “mi hanno detto”, ma ho letto, e dunque lo so, mica sono stupido, mica non capisco. E ovviamente non è questione di stupidità, ma di avere gli strumenti per scartare le informazioni scorrette e per interpretare correttamente quelle giuste».

 

NON SEMPRE FUNZIONA – Può accadere che il paziente non si fidi, può accadere che il medico non riesca a stabilire un contatto. Mi dice Maino: «L’altro giorno ho visto in ambulatorio una paziente che non avevo mai incontrato. Quando sono entrata l’ho trovata seduta e immediatamente mi ha detto “io so di cosa soffro e che devo curarmi con il trapianto, ecco mia sorella, voglio oggi il trapianto”. Il trapianto è una procedura complessa e che ovviamente non si può fare in quel modo, ma d’altra parte non puoi non capire che una persona che sta male venga e ti chieda anche soluzioni sbagliate. È stato molto difficile spiegarle che era necessario valutare la compatibilità e poi tutto il percorso necessario, i tempi e i rischi, che a volte sono mortali. Non sempre se ne esce, lei è rimasta convinta delle sue ragioni».

 

ILLNESS E DISEASE – Una buona relazione è una condizione necessaria del percorso di cura. «Noi abbiamo le medicine e abbiamo le nozioni, ma il paziente deve starci: è una squadra. Deve prendere i farmaci, deve fidarsi di noi e seguire le nostre indicazioni. Se partiamo male, sarà tutto più difficile. Oggi leggevo un articolo in cui si diceva che il medico si occupa di “disease”, cioè della parte oggettiva, e il paziente dell’“illness”, cioè della malattia vissuta. Se non mettiamo insieme questi due aspetti della malattia, l’alleanza terapeutica non ci sarà mai.

Devi affidarti e ovviamente fidarti. Un incontro sbagliato può condizionare profondamente il tuo percorso di cura. Mi è capitato spesso di ascoltare racconti di comunicazioni di diagnosi sbagliate. Spesso c’è poco tempo o si è più o meno sensibili. Questo può segnare profondamente il tipo di relazione, e aggiustare il tiro è difficile e a volte impossibile».

 

COMUNICAZIONE – A parte la mancanza di tempo, spesso la parte meno tecnica della diagnosi è lasciata alle singole improvvisazioni. «Quando usciamo dal corso di laurea o addirittura a volte dalla scuola di specialità non siamo formati su come si comunica una diagnosi, magari importante, a un paziente. Quando entriamo nel modo del lavoro all’inizio non possiamo che improvvisare. Servirebbe più formazione, un corso che aiuti a capire come fare. Il campo è una scuola insostituibile, ma dovremmo arrivare preparati sul piano teorico. Servirebbero più corsi specifici nel percorso di formazione del medico. Ero già nel mondo del lavoro quando ho fatto un breve corso e mi sono resa conto di quanto quelle poche ore – fatte di simulazioni e di teoria – siano state fondamentali. Hanno cambiato il mio modo di lavorare e di interagire con le persone nei momenti più difficili».

 

CONVIENE – Se si è insensibili all’aspetto “umano”, si può accennare alla convenienza economica di una comunicazione corretta e non affrettata o gelida. Investire del tempo nel primo incontro, insomma, potrebbe convenire economicamente. Secondo Maino «è un investimento. Se il paziente si fida di te, creerà e avrà meno difficoltà. Quella mezz’ora inziale di comunicazione che magari ti sembra di “perdere” (perché i tempi sono spesso impossibili) lo riguadagni in 200 ore durante il percorso di terapia. Quelle ore hanno anche un costo economico, non solo umano e terapeutico».

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